È stato un vento caldo, intriso di sonorità esotiche potenti e raffinate, portatore di novità ed allegria quello cha ha soffiato per due notti sul Blue Note di Milano.
Un periplo musicale, un giro del mondo dall’Africa a Cuba (con tappa in Spagna) e ritorno che non avremmo mai voluto che arrivasse al capolinea.
La migliore ed autentica versione dell'Afro Cuban Jazz ha infiammato Milano con quattro spettacoli sold out.
Richard Bona e Alfredo Rodriguez non hanno bisogno di molte presentazioni. Eclettico ed istrionico talentuoso bassista e cantante di origine camerunense, vincitore di Grammy, referenza del jazz contemporaneo nel mondo, più volte definito erede di Pastorius il primo, virtuoso e appassionato pianista cubano dal talento strabiliante ma anche fine compositore il secondo.
Due uomini, emblemi della multiculturalità, prima ancora che due artisti straordinari che parlano lo stesso linguaggio e condividono la medesima visione fatta di comuni valori.
Africa e Cuba le terre di origine, così ricche ed intimamente connesse musicalmente tramite un cordone ombelicale che grazie all'isola non è mai stato reciso.
I ritmi delle percussioni, eredità della diaspora africana, lì, sono sopravvissuti e rifioriti, contaminandosi e intrecciandosi con la cultura europea e quella nord americana.
Poi gli Stati Uniti: la loro dimora, il punto di incontro quando non sono in viaggio.
Infine, ma non da ultimo la figura di Quincy Jones dietro le quinte: il Deus ex machina.
Talent scout infallibile, definito a ragione “il Re della musica black”, instancabile attivista, compositore, esecutore, produttore di successo dei migliori artisti del pianeta (da Frank Sinatra a Michael Jackson), Quincy è il loro manager ed è “anche un amico con il quale condividono valori e missione”, ci tengono a precisare i due musicisti.
Ed è grazie a lui che si incontrano in Svizzera al Montreux Jazz Festival, circa 10 anni fa. Scatta la scintilla.
Richard e Alfredo muovono passi decisi fin da subito formando il loro duo e facendo una tourneé in Asia. In seguito si aggiungono le percussioni suonate dalle magiche mani Pedrito Martinez, anche egli originario dell’Havana con dimora a New York.
Poi una tournée sospesa nel mezzo della sua esecuzione ad Istanbul, nel marzo del 2019, che segna la chiusura delle frontiere a causa della pandemia con lo stop totale della musica dal vivo fino ad arrivare a luglio di quest’anno con la rinascita, con una nuova lunga tournée in grande stile.
Oggi più ricchi e completi di prima con una ricetta originale ed infallibile orchestrata con l’esperienza e l’amore che sottendono le creazioni che nascono dalla passione.
Gli ingredienti completi: basso, piano, percussioni, batteria e fiati (trombone e tromba).
Insieme a Richard Bona e Alfredo Rodriguez, altri 3 componenti di origine cubana, Ludvig Alfonso alla batteria, Denis Cuni al trombone e Carlos Sarduy alla tromba con il percussionista spagnolo Josè Montana, completano il sestetto.
Una vera festa per l’udito: l’Afro Cuban Jazz è servito.
Come in ogni ricetta ben eseguita, l’equilibrio regna sul palco. Non c’è alcun elemento che sovrasti o adombri l’altro. Si respira una generosità nel gruppo che è il segno udibile e visibile della complicità che li unisce. Lo spazio per assoli è aperto e i sei componenti si esprimono anche in autonomia sotto lo sguardo compiaciuto degli altri che restano ad ascoltare.
Ma è quando si uniscono che danno il massimo. Gli spettatori vengono lentamente trasportati in un mondo di suoni antichi ed ancestrali dove il cajon e le congas riportano direttamente in Africa.
Alle percussioni si aggiungono amalgamandosi perfettamente le sonorità più classiche del jazz con trombone e tromba, a cui piano, batteria e basso si intrecciano e divagano contaminandosi con altri generi. Entra il flamenco, poi la conga (genere cubano) e di nuovo il son montuno (sottogenere del son cubano). L’ improvvisazione articolata regna sovrana.
La voce di Richard fa il resto. Melodica, delicata e fluida anche quando scivola nell’incantevole falsetto accompagnato da una gestualità dolce che rimanda all’esecuzione di una pièce teatrale.
Impossibile seguire con lo sguardo le mani di Alfredo Rodriguez che scivolano rapidissime lungo la tastiera da destra a sinistra e viceversa, ipnotizzano lo sguardo. La sua educazione classica si intreccia al groove afrocubano, la timba suona ed è un’esplosione.
Bona incalza Rodriguez “slappando” e duetta: instaurano un dialogo dalle sequenze virtuose, si imitano suonando le stesse note come inseguendosi in una sfida. Usano l’ironia e suscitano ilarità tra il pubblico. La loro scioltezza lascia a bocca aperta, suonare per loro è un gioco da ragazzi e gli viene talmente facile da riuscire magicamente a convincerci che quello che stanno facendo è normale, quando normale non lo è affatto.
Chiedono di non essere chiusi dentro ad una scatola che vorrebbe definirli stilisticamente. Incarnano l’Afro Cuban Jazz che è indubbiamente tesoro che appartiene loro e li rappresenta ma le etichette li limitano.
Loro esplorano gli orizzonti senza confini della multiculturalità musicale.
Le loro storie personali parlano di emigrazione e di viaggi fisici e sonori. Condividono una missione comune: quella di essere ambasciatori della ricca cultura che li accomuna.
Il pezzo che si intitola Raices,
( radici in italiano) scritto da Alfredo in ricordo della sua Cuba, è potente: la sua melodia tocca le corde dei sentimenti.Sul palco,dopo il groove esotico dei brani precedenti, l'attacco di Raices fa calare il silenzio e il pubblico smette di tenere il tempo, rapito da quella che sembra una preghiera cantata.
Chiedamo a Richard che la interpreta nella sua lingua madre (duala) il significato delle parole. Egli va oltre la nostra domanda per una ragione che poi, riflettendoci bene, risulta coerente con la missione della sua arte e ci spiega:
“Quando ero in Africa da piccolo e ascoltavo alla radio la musica cubana che ogni singolo giorno veniva trasmessa, dicevo a mio papà: "Non capisco il significato delle parole che esprime ma so che questa melodia parla a noi e di noi”".
"La musica è così, ha già il suo linguaggio". Universale. Non necessita di traduttori ma lascia il segno e questo dimostra il suo potere.
Potere che la sera del concerto, sin dalle prime note, ha stregato e coinvolto il pubblico che non smetteva di tener il tempo e di muoversi sulla sedia.
Incalzati dai musicisti gli spettatori hanno cominciato a battere le mani a ritmo di clave e si sono uniti in un coro incitato da Richard Bona che ha aperto a tutti il sorriso.
Un’ energia esplosiva levatasi per trasportare gli ascoltatori su una giostra dalla quale non si sarebbe più voluti scendere.
“La musica non viene dalla musica. Se la musica venisse dalla musica tutto sarebbe noioso. La musica è un prodotto della vita e la vita è improvvisazione come il jazz”, dice Alfredo Rodriguez.
Mancava la musica dal vivo (ancor di più quella che ci fa viaggiare).
Mancava agli spettatori ma anche ai musicisti.
Si era affievolita l’efficacia della loro missione che, al contrario, dal vivo ha effetti potentissimi.
“Non sono gli altri che devono sapere di noi, siamo noi che dobbiamo essere ambasciatori di una cultura…sta arrivando e una volta che avanza non la fermi più, un processo lento ma inesorabile e noi (artisti, ndr) facciamo la nostra parte”, afferma Bona.
“Abbracciare le culture per unire, rompendo le barriere”: questo è ciò che nella sala gremita del Blue Note, anche quella sera, hanno fatto. E gli spettatori presenti se ne sono resi conto. Il loro sorriso ne era la prova.
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