Un inquietante caso di duplice omicidio ha sconvolto il Perù, paese certamente abituato alla delinquenza, ma non a dinamiche tanto cruente da ricordare le cosiddette "macellerie" dell'America Centrale, come dichiarato dagli stessi periti che hanno seguito il caso. Tutto aveva inizio il 10 settembre, dopo che la polizia peruviana rinveniva alcuni sacchi con resti di corpi smembrati nei distretti di San Martin de Porres e Rimac, nella parte settentrionale del dipartimento di Lima, aree già note per l'elevato tasso di delinquenza.
Con non poche difficoltà, gli inquirenti riuscivano a identificare la prima vittima, il cittadino peruviano Jafet Torrico Jara (24), grazie alle impronte digitali. Risultava invece più difficoltosa l'identificazione della seconda vittima in quanto le impronte non comparivano nel registro biometrico nazionale Reinec, un elemento chiave che indicava come i resti appartenessero palusibilmente a un cittadino straniero che veniva identificato successivamente come Ruben Matamoros Delgado, venezuelano già espulso con volo di Stato nel maggio scorso ma rientrato illegalmente in Perù pochi mesi dopo.
Le indagini portavano gli inquirenti presso l'ostello "Senor de Sipan", sempre nel distretto di San Martin de Porres e gestito dal cittadino venezuelano Alexander Salazar Alvarez ed è proprio lì, al quinto piano, che veniva scoperto uno scenario terrificante, con macchie di sangue in ben tre stanze che erano occupate da altri cittadini venezuelani. In breve gli investigatori riuscivano a risalire alle identità dei membri della banda di killer, tutti cittadini venezuelani, almeno due dei quali entrati nel Paese con visto turistico e poi trattenutisi in loco; cinque gli arrestati, mentre altri cinque sarebbero tutt'ora ricercati, tra questi il presunto mandante della carneficina, Willian Rondon Marcelo, alias "Machelo" (secondo quanto dichiarato da uno degli arrestati, Abraham Rondon Perozo Borjas, contrattato assieme a un altro venezuelano per far sparire i corpi delle vittime). Tra gli arrestati anche due donne, una delle quali già nota alle forze di polizia venezuelane e identificata come Veronica Andreina Montoya Arajulo.
Secondo quanto emerso dalle indagini, l'omicidio di Matamoros Delgado era stato ordinato in seguito a una trattativa di droga andata male; i killer avevano infatti accusato il connazionale di aver fatto sparire 500 soles, l'equivalente di circa 135 euro, provento della vendita di droga per conto della banda. Torrico Jara è invece stato ucciso in quanto amico di Matamoros. Gli assassini hanno attirato le due vittime con una scusa e li hanno squartati, uccisi e tagliati a pezzi per poi far sparire i resti all'interno di alcuni sacchi di plastica. Lo strano via vai veniva però ripreso dalle videocamere di sorveglianza dell'ostello e nonostante il tentativo da parte della banda di far sparire le immagini, il reparto tecnico della polizia riusciva a recuperarle; il materiale risultava di vitale importanza per l'identificazione dei componenti della gang.
In seguito gli investigatori scoprivano che la banda era parte di un gruppo chiamato "Cota 905", nome di una strada situata in una delle zone più pericolose di Caracas.
Il 21 settembre emergeva sul web un filmato di un individuo del Callao, quartiere di Lima vicino a San Martin de Porres, nel quale il soggetto in questione minacciava di "rompere le ossa" ai delinquenti venezuelani presenti nella capitale peruviana, come illustrato dal sito Informate Perù.
Il Perù è uno dei paesi che ha accolto il maggior numero di profughi fuggiti dal Venezuela, ma vi sono anche quelli entrati o trattenutisi illegalmente nel Paese e ora i cittadini peruviani stanno pagando il conto di tale politica. La linea dura sui rimpatri forzati invocata lo scorso giugno dal presidente peruviano Martìn Vizcarra non sembra sufficiente, visto che i soggetti espulsi riescono poi a rientrare nel Paese clandestinamente e senza tante difficoltà.
Interessante il commento del noto criminologo venezuelano, Roberto Briceno-Leon, al quotidiano peruviano El Comercio: "In Venezuela ti ammazzano per rubarti le scarpe di marca. Questa era una frase tipica nel Perù degli anni '90 quando si parlava della violenza nel Paese che era meta di molti immigrati peruviani. In seguito, con l'arrivo della tecnologia, iniziarono a uccidere per i telefonini. Ora, con l'economi al collasso, si uccide per il cibo".
Il rischio è dunque che, a causa dell'elevato flusso migratorio di cittadini venezuelani, flusso inadeguatamente filtrato, il Perù diventi teatro di un nuovo tipo di violenza importata proprio da uno dei paesi più violenti del mondo, il Venezuela, che nel 2017
contava 89 omicidi ogni 100mila abitanti (con 26.616 morti violente) mentre il Peru ne contava 7,8 ogni 100mila abitanti (con 2.487 morti violente). Una prospettiva che preoccupa sia la cittadinanza che le forze dell'ordine.
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