Ci hanno provato in tanti. Nel disadorno vocabolario della Prima Repubblica si chiamavano «Commissioni tecniche per il contenimento della spesa pubblica». Poi - in epoche più smart - arrivò la «spending review». Con risultati simili: battaglia (fin qui) persa. Enti sovvenzionati, società partecipate, organismi pubblici o finanziati dallo Stato, ecco il grande carrozzone che viaggia a spese dei contribuenti, divora fondi e non produce ricchezza. Sorretto da una legislazione tanto contorta da proporre toppe peggiori dei buchi. Lo scrive la Corte dei conti nel documento di «Programmazione dei controlli e delle analisi per l'anno 2015», pubblicato solo pochi giorni fa: «Alcuni enti sono stati soppressi o accorpati, nell'ambito di un generale percorso normativo di razionalizzazione delle attività della pubblica amministrazione», e tuttavia «il numero e la tipologia di enti da assoggettare a controllo sono aumentati negli ultimi tempi». È l'ennesimo tassello di un puzzle che concorre a far crescere le spese correnti dello Stato, salite senza sosta dal 2009 a oggi nonostante i vani tentativi di dare una stretta ai rubinetti: erano 661 miliardi di euro sei anni fa, sono stati 681 nel 2014. E la previsione per quest'anno è un altro colpo agli ottimisti del lavoltabuona : 690 miliardi. Da gennaio a marzo, i magistrati contabili hanno depositato più di venti relazioni su «enti pubblici e società a prevalente partecipazione pubblica». Dalla cultura al welfare, dalla ricerca scientifica al patrimonio naturale. La spesa pubblica è come l'Idra: tagli uno spreco, ne spuntano due.
CARA SCIENZA
Vero che l'Italia è all'avanguardia nel campo della ricerca, ma tutto ha un costo. E non sempre sembra giustificato. Qualche rilievo da parte dei giudici, ad esempio, lo meritano i 12 milioni di euro (per l'esattezza, 11,9) spesi in un anno dall'Agenzia spaziale italiana per la base «Luigi Broglio» di Malindi, in Kenia. Una base di lancio e di controllo dei satelliti nata quasi cinquant'anni fa, e per la quale «appare opportuno definirne le linee di sviluppo dell'attività, tenendo conto del rapporto risorse e costi con la predisposizione di un piano più razionale per la gestione delle piattaforme, al fine di migliorare la definizione delle previsioni di spesa, formalizzare un accordo con il governo del Kenia, definire l'inquadramento giuridico del personale keniano operante presso la base». Tradotto: sicuri non basti qualche milione in meno?
Ben più contenuti sono i costi del Museo storico della fisica e Centro studi e ricerche «Enrico Fermi», eppure il polo di via Panisperna a Roma appare come l'ennesima occasione sprecata. Basta leggere il bilancio riportato nei documenti della Corte dei conti: alla voce «Entrate correnti» è registratro il milione e 800mila euro di trasferimenti dallo Stato. Alla voce «Entrate derivanti dalla vendita di beni e prestazioni di servizi», un tondissimo «zero». Un grande museo e centro di ricerca che in un anno non ha prodotto un euro di reddito. Sicuramente, il «protrarsi dei lavori di ristrutturazione del Complesso monumentale continua a condizionare la piena operatività dell'Ente e limita il perseguimento di tutte le finalità istituzionali previste».
E qualche problema sembra averlo anche la «Fondazione istituto italiano di tecnologia», la cui missione è fare ricerca e produrre brevetti, e che proprio attraverso i brevetti potrebbe ambire all'autofinanziamento. Ma nell'anno preso in esame dai magistrati contabili «l'avanzo economico subisce una netta diminuzione (da circa 15,8 milioni a 1,3), da correlare ad una significativa riduzione del valore della produzione e all'aumento dei costi di produzione passati da circa 98 milioni dell'esercizio 2012 a circa 109 milioni dell'esercizio 2013 (+10,99%), riconducibile soprattutto all'incremento del personale in servizio». Insomma: tante teste, poche idee e molto costose.
BELLA (E POVERA) ITALIA
Ma nemmeno i patrimoni ambientali e culturali - di cui l'Italia non difetta - si salvano dalla generale abulia manageriale che contraddistingue i beni pubblici. Possibile che non si riescano a valorizzare i parchi naturali, che all'estero vengono fatti fruttare come miniere d'oro? Possibile, stando alla relazione su cinque Enti parco nazionali: Monti Sibillini, Dolomiti Bellunesi, Foreste Casentinesi-Monte Falterona-Campigna, Pollino e Val Grande. «Le spese correnti - si legge nei documenti - sono coperte quasi integralmente dai contributi dello Stato (una decina di milioni in totale, ndr ), mentre continua a essere limitato o nullo il contributo degli enti territoriali e in diminuzione le già limitate entrate proprie». Tanto che «il generale peggioramento dei saldi della gestione finanziaria ed economica mette, tuttavia, in luce una situazione di precarietà e di strutturale debolezza che richiede, per il futuro, interventi correttivi, anche sotto l'aspetto organizzativo, volti a salvaguardarne l'equilibrio economico-patrimoniale».
Un piccolo pozzo senza fondo risulta essere anche la Fondazione ente ville vesuviane, che si occupa di restaurare e valorizzare i complessi monumentali di Villa Campolieto e di Villa Ruggiero, di Villa delle Ginestre e di altri immobili minori in Campania. Nell'ultimo anno preso in esame i contributi statali erano stati tagliati, ma la Regione Campania se n'era fatta carico (dunque, ancora denaro pubblico). Ebbene, il bilancio si era chiuso con un disavanzo economico di oltre 390mila euro. Motivo? «Le risorse finanziarie dell'Ente sono quasi interamente assorbite dalle spese di funzionamento e, pertanto, quelle destinate alla manutenzione ordinaria dei cespiti immobiliari, costituenti la missione della Fondazione, risultano ampiamente inadeguate». Un dato su tutti: la Fondazione ha destinato 188mila euro alla manutenzione delle ville, e ne ha spesi 341mila per gli stipendi del personale a tempo indeterminato, quello parasubordinato, e per gli organi di amministrazione.
Leggermente fuori controllo, infine, sono state anche le spese della «Fondazione Rossini Opera Festival», che ha chiuso l'ultimo bilancio preso in esame dalla Corte con un disavanzo di «soli» 82mila euro. Una goccia in un oceano di milioni pubblici, certo, ma è la causa di quel piccolo deficit a provocare gli strali dei magistrati contabili. Il risultato economico negativo, infatti, viene ricondotto a un unico spettacolo, un Guglielmo Tell particolarmente fastoso, che nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto dare lustro al Festival. Peccato che il pubblico non l'abbia capito. O quantomeno, non abbastanza. L'opera, costata più di 600mila euro, ha prodotto incassi per soli 200mila. «La Corte - è l'ovvia conclusione dei giudici - non può non osservare come la programmazione e l'allestimento delle opere non debbano prescindere da una valutazione delle risorse economiche disponibili».
COLOSSI DI STATO
Ma sul carrozzone di Stato un posto in prima fila è riservato alla Rai, con i suoi quasi mille e 600 giornalisti, immobili per 670mila metri quadrati (praticamente tre volte le isole Cayman) che a privatizzarli - stimano i giudici - varrebbero un miliardo di euro, i 290mila euro spesi in omaggi nell'ultimo anno e i 18mila euro per il centro sportivo di Tor di Quinto, sui cui campetti da calcio e tennis (per non parlare della piscina) sgambettano i dipendenti della televisione pubblica. Ecco, qualcosa si potrebbe fare per recuperare anche da viale Mazzini un po' di risorse. Ma di certo non basterebbe. Perché il problema è più grande. Il problema, forse, è proprio il Paese così come lo conosciamo.
Nella recentissima relazione sulla Cassa Depositi e Prestiti, il grande portafoglio nazionale in mano per l'80% al ministero dell'Economia, i giudici contabili concludono con una nota di evidente pessimismo: «Il fatto che, nel periodo in riferimento, si continuino a riscontrare da parte degli Enti beneficiari perduranti inefficienze, ritardi, mancato conseguimento dei risultati, immobilizzi finanziari e rilevanti lievitazioni dei costi, induce a sottolineare, pur nella consapevolezza della sussistenza di recenti interventi normativi recanti limiti alla facoltà di indebitamento degli Enti stessi, come debba essere considerata la necessità di una regolamentazione del settore che a fronte delle erogazioni operate da Cassa a favore dei predetti Enti, possa predeterminare un quadro di garanzie circa il corretto utilizzo delle risorse in questione». In parole più semplici: i soldi ce li mettiamo pure, ma se non cambia l'Italia sono soldi buttati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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