L'incubo del pareggio sulle presidenziali Usa

Il meccanismo attribuisce un numero fisso di grandi elettori per ogni vittoria locale: in teoria la parità a quota 269 è possibile. Obama è in vantaggio, ma se McCain si aggiudica alcuni Stati chiave può esserci lo stallo

L'incubo del pareggio 
sulle presidenziali Usa

Washington - L'America è il Paese che non ama i compromessi. O vinci o perdi. E se vinci prendi tutto. Pareggiare è disdicevole, non dà sapore la vita, rinvia o anestetizza un verdetto che comunque deve arrivare. E allora meglio prima che poi. Aspettare non ha senso. Vale nella vita di tutti i giorni, nello sport e in politica.

Il sistema elettorale è impostato su questo principio. Guai a parlare a un americano di proporzionale o di coalizioni tra partiti. Non capisce: preferisce correre il rischio di affidare tutto il potere a una fazione, riservandosi di toglierglielo brutalmente dopo quattro anni. Vengono eletti così deputati, senatori, governatori, persino procuratori generali. E naturalmente il presidente degli Stati Uniti, seguendo un processo che riflette lo spirito federalista della Costituzione. Non prevale chi riceve il maggior numero di suffragi individuali, ma chi ottiene almeno 270 grandi elettori.

Il meccanismo funziona in questa maniera: ogni Stato ne attribuisce un numero che varia in rapporto alla popolazione; chi vince li prende tutti. Ad esempio: Obama otterrà tutti i 31 superdelegati di New York; McCain tutti i 33 del Texas. Le combinazioni sono tali che un pareggio è altamente improbabile. L'ultima volta risale al 1824, mentre le elezioni del 2000 e del 2005 si sono risolte sul filo di lana, con un solo Stato determinante (rispettivamente Florida e Ohio).

E quest'anno? Stando ai sondaggi Obama resta il grande favorito e ieri, per la prima volta da luglio, ha superato quota 270. Ma questa è un'elezione anomala, in cui l'umore degli elettori è volatile quanto la Borsa di Wall Street. Meno di un mese fa a guidare la corsa era McCain con un margine confortante, poi la crisi finanziaria ha ribaltato l'esito a favore del candidato democratico. Ma tra quattro settimane? McCain è convinto di potere ancora farcela e mira da un lato a distogliere l'attenzione dalla recessione, dall'altro ad alimentare i dubbi sulla credibilità di Obama. Sarah Palin ha aperto l'offensiva, dichiarando che «Barack va in giro con i terroristi», con esplicito riferimento all'amicizia tra il senatore dell'Illinois e William Ayers, oggi stimato docente universitario, ma che negli anni Sessanta militava in un gruppo eversivo anarchico a nome del quale fece esplodere una bomba al Pentagono. Un colpo basso terrificante. Altri seguiranno.

E se proprio non riuscisse a vincere, il senatore dell'Arizona può tentare di pareggiare. Sì, i numeri indicano che quest'anno lo scenario è plausibile. Se McCain conquistasse New Hampshire, Florida e Ohio, ma perdesse Pennsylvania, Colorado, New Mexico e Iowa, lui e Obama finirebbero con 269 grandi elettori ognuno. Idem se vincesse in Michigan e al contempo perdesse in Virginia e New Hampshire, sebbene si tratti di un'ipotesi assai più remota.

E allora chi diventerebbe presidente? Di ripetere la finale non se ne parla, di tirare i rigori nemmeno. La Costituzione prevede che, durante la prima sessione di gennaio, sia la Camera dei deputati ad eleggere il presidente e il Senato il vicepresidente. E siccome quest'anno i democratici dovrebbero ampliare la maggioranza di cui già dispongono, Obama verrebbe eletto. In teoria. Ma chi può garantire che la disciplina di partito venga rispettata? In America il deputato risponde innanzitutto ai propri elettori e vota sempre secondo coscienza. La Camera ha fatto saltare la prima votazione del pacchetto da 700 miliardi di dollari; non è difficile immaginare che cosa accadrebbe in un'evenienza del genere.

E poi: se anche Obama ce la facesse, il Senato potrebbe optare per la Palin o, viceversa, McCain potrebbe finire alla Casa Bianca con Biden.

Sempre che nel frattempo uno o più grandi elettori non abbiano tradito il mandato popolare: è già successo in passato e spesso con motivazioni tutt'altro che nobili. E se alla fine Obama e McCain fossero ancora pari, verrebbe eletto lo speaker della Camera. Che di nome fa Nancy e di cognome Pelosi. Prima donna alla Casa Bianca. L'ultimo inimmaginabile colpo di scena.

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