Lippi insegna lo spirito di gruppo a Totti e Donadoni

L’ex ct racconta in un libro come ha costruito la squadra vincente. Dal pesce pescato nel lago dell’albergo alla macumba per Trezeguet

Franco Ordine

da Milano

Roberto Donadoni e Francesco Totti dovrebbero prenotare una copia ciascuno e dedicare un po’ di giorni delle future vacanze alla lettura di un libro che dice quasi tutto, a cominciare dall’autore e dalla foto di copertina. Il titolo è «La squadra», la foto emblematica richiama la premiazione di Berlino della nazionale campione del mondo, l’autore è Rosa Alberoni (suo marito Francesco firma la prefazione), il personaggio principale è Marcello Lippi. Potrebbero entrambi, Donadoni e Totti, trarre lo spunto da una serie di rievocazioni, ricordi, aneddoti e convinzioni per uscire indenni dalla gestione di un complicato e pure banale equivoco che sta dominando le cronache dell’attuale nazionale: vado, non vado; vengo, non vengo. Donadoni è il ct della nazionale, successore di Marcello Lippi; Francesco Totti, il campione che al mondiale giocò con un infortunio mai smaltito e che ora confessa di voler pensare soprattutto alla salute. I due, dopo mesi e settimane di interviste, colloqui, chiacchierate telefoniche, non riescono a intendersi su una vicenda semplice, se non elementare. Che è racchiusa in un brevissimo interrogativo: quando e come Totti deve tornare in azzurro?
Nella presentazione di ieri sera, alla sala Buzzati, con l’intervistatrice, l’intervistato e due grilli parlanti (Aldo Cazzullo del Corriere della Sera e Carlo Verdelli direttore della Gazzetta dello Sport) il messaggio, subliminale, per i due grandi assenti, è chiaro, senza possibilità di equivoco: «Bisogna costruire insieme il rapporto di fiducia». Probabilmente il libro può diventare il testo cui Donadoni e Totti devono ricorrere per mettere ordine in questo guazzabuglio sfornato dopo il mondiale. Di sicuro possono capire al volo che non è facile raggiungere il risultato, con un tocco di bacchetta magica, magari. «Ci son voluti due anni, due anni di duro lavoro», continua a ripetere Lippi, rievocando la sua impresa che qui viene raccontata come «consigli per la gestione di un gruppo». «Il successo di Berlino - è la convinzione attuale di Lippi - è diretta conseguenza di quel che preparammo nei due anni precedenti, nelle due amichevoli con Olanda e Germania, nei brevi appuntamenti e nei veloci raduni».
I due, Donadoni e Totti, non hanno forse bisogno di conoscere le categorie con cui l’uomo di Viareggio divide il calcio italiano ed europeo (buoni giocatori, campioni e fuoriclasse). E nemmeno la curiosa identità calcistica degli squadroni europei: «Il Milan come il Real Madrid amante del bel gioco, la Juve come il Bayern Monaco, dotata di aggressività e di grinta». Ci sono altre lezioni da mandare a memoria. Quella della scelta dei rigoristi, Grosso ultimo «perché tu sei stato l’uomo dell’ultimo minuto», oppure la previsione, recitata dinanzi alla panchina, durante i supplementari di Italia-Germania per Del Piero, «scommettete che entra e fa gol?». O ancora, la macumba dedicata a Trezeguet, durante i rigori, nella notte di Berlino. «Mentre lo vedevo prendere la rincorsa pensavo: tu mi devi qualcosa, e naturalmente pensavo al rigore sbagliato di Manchester», il piccolo retroscena svelato.
Alla fine, probabilmente, l’unico inedito sul mondiale e sulla vita di Duisburg non è certo la dimensione della camera d’albergo riservata al ct («era la più grande di tutte, altro che piccola»). No, l’inedito è l'episodio del pesce, rimasto nascosto in fondo ai cassetti della memoria collettiva azzurra. «Nel parco del nostro albergo di Duisburg - ecco il racconto di Lippi - c’era un laghetto, molto sporco. Promisi agli azzurri: se mi portate in finale, lo attraverso a nuoto. Quando battemmo la Germania, fui costretto ad onorare la promessa. Ma organizzai uno scherzo: mi procurai un pesce enorme, lo legai a una boa e, durante la nuotata, feci finta di riuscire a pescarlo.

Gli azzurri ne rimasero stregati. E Iaquinta, che è un bravo ragazzo un po’ credulone, commentò: “Ma che culo ha il mister!”». Un mondiale si vince anche così, ma nel frattempo così si può anche risolvere la noiosa querelle Donadoni-Totti.

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