«Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto. Ridi del duol che t'avvelena il cor!». Così, nel finale declama Canio, nelle vesti di pagliaccio. E la commedia di partenza volge in tragedia. L'amore folle del protagonista nei confronti di Nedda e l'amore di costei per Silvio conduce i due amanti alla morte, con un duplice omicidio per mano di Canio. Questo in sintesi è il soggetto - ripreso da un fatto di cronaca - de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo: autore di libretto e musica di quest'opera fulminea, in due brevi atti, tenuta a battesimo proprio al Dal Verme. È nata una stella, con un dettaglio importante: il 21 maggio 1892, giorno del debutto, sul podio c'è un venticinquenne Arturo Toscanini (nella foto), non del tutto sconosciuto, ma solo all'alba della leggendaria carriera di direttore d'orchestra.
Da allora, I Pagliacci ha girato il mondo in abbinata con la Cavalleria rusticana di Mascagni, accoppiata vincente vista la brevità di entrambi i titoli e una certa affinità stilistica. I Pagliacci piacquero, e piacciono tuttora per quella miscela di irruenza da opera verista e leziosaggine da commedia dell'arte. Un successo che Leoncavallo non riuscì a replicare, ma che si è rivelato unico, duraturo e trasversale. «It's a Hard Life» di Freddy Mercury apre riprendendo il famoso inciso «Ridi Pagliaccio». Lo stesso frammento è finito nella serie dei Simpson accompagnato da un gran movimento di coltelli rinnovando, a distanza di un secolo abbondante, cliché evidentemente duri a morire.
Quanto a Toscanini, il Dal Verme è tra le sue
rampe di lancio, sarà La Scala a consacrarlo: direttore principale a 31 anni nel 1898, fino al concerto dell'11 maggio 1946, quando sarà lui a suggellare la ricostruzione del teatro dopo le distruzioni portate dalla guerra.
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