Lombardo licenzia i suoi assessori L’ultimo capitolo della faida Mpa-Pdl

Tutti a casa. Perché, dice Raffaele Lombardo, scrivendo l’epitaffio che azzera la sua giunta regionale, «questa casa va rasa al suolo e ricostruita». Bisogna essere bravi, bravissimi per farsi del male da soli. Per buttare alle ortiche un patrimonio di consensi straordinario (appena un anno fa aveva trionfato alle Regionali con il 65 per cento dei voti) che ha portato il centrodestra a governare la Sicilia annientando l’opposizione. Peccato. Almeno ci fosse stata un’opposizione di sinistra sostenuta e combattiva, magari le cose sarebbero andate diversamente.
E non saremmo stati costretti da mesi ad assistere ad una penosa rappresentazione di tanti, troppi pupi e pupari, impegnati a menar fendenti giusto per far rumore e far sorridere gli spettatori convenuti davanti ad un surreale teatrino dove sono andate in scena congiure e disfide.
Ma che cosa ha spinto il presidente della Regione siciliana, nonché leader del Movimento per l’Autonomia, in un momento delicato come la campagna elettorale per le Europee e le amministrative, a chiedere agli assessori (peraltro recalcitranti) di ritirare le deleghe e ad arrivare a questa resa dei conti, tuonando esasperato «che stare in questo governo significa non sabotarlo»? Una catena di dispetti, sgarbi, e veleni all’interno della sua maggioranza, inanellata senza esclusioni di colpi coinvolgendo una parte del Pdl e l’Udc del suo ex grande amico di un tempo, Totò Cuffaro. Se è vero come è vero che l’ultima scena pirandelliana per l’ultimo atto di questa giunta sarebbe stata scritta da Lombardo avant’ieri, durante un pranzo riservatissimo ad Agrigento, un altro pranzo o meglio un’altra cena sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il mancato invito, al ricevimento a Villa Igiea con il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione della sua recente visita a Palermo, del presidente del Senato, Renato Schifani. Né il Guardasigilli Angelino Alfano. Non includere nella lista degli invitati a quella cena la seconda carica dello Stato, è stato considerato un affronto, un sgarbo istituzionale gravissimo. Immediata e furiosa la polemica, esplosa nei confronti del governatore Raffaele Lombardo visto che dal Quirinale era stato solo trasmesso il desiderio del Capo dello Stato di un numero ristretto di commensali. Lombardo aveva dunque depennato personalmente ospiti evidentemente non graditi come Schifani, Alfano, e il presidente dell’Ars, Cascio (che giusto poco tempo prima aveva definito il governo di Lombardo «il peggiore degli ultimi quindici anni»). D’accordo conveniamo con voi che non si butta all’aria una giunta per le polemiche di chi non è stato invitato. E in effetti c’è molto di più. C’è stato e c’è ancora per esempio un campionario dell’insulto che va da «sanguisuga» a «stigghiularo» (venditore ambulante di «stigghiole», ovvero budella) con cui il presidente della Regione ha bollato in questi mesi ogni attacco e ogni sospetto traditore come il suo ex pupillo Salvatore Lentini che lo ha piantato in asso lasciando l’Mpa per passare al Pdl. Forse la verità, dicono le malelingue, è che a Lombardo, scongiuri a parte, non è mai andata giù la presentazione di un disegno di legge costituzionale per modificare lo Statuto autonomista e separare la vita dell’Assemblea regionale da quella del presidente. Inteso come il modo per far sopravvivere la prima, senza nuove elezioni, in caso di «impedimento» del governatore, cioè in caso di «dimissioni, sfiducia, rimozione o morte». Ecco, quella postilla sulla «morte», ideata e messa a punto durante una «riunione segreta», l’ennesima da queste parti, con la partecipazione di esponenti di Pdl e Udc, venne interpretata da Lombardo, era tempo di Natale, come una minaccia che gli aveva fatto parlare di «congiurati» all’opera. O forse ancora, e questa è una verità politica, è che transfughi o «stigghiulari» a parte, gli ultimi sondaggi danno il Popolo della Libertà in Sicilia al 55 per cento. Una percentuale più che sufficiente per fare a meno non solo dell’Udc ma anche dell’Mpa. Così, anche se le Europee non dovrebbero avere effetto sulle giunte locali, di giorno in giorno, i gesti di ostilità intestini si sono moltiplicati. Soprattutto dal momento in cui, qualche settimana fa, il Pdl ha scelto come coordinatore regionale Giuseppe Castiglione, cioè l’ex europarlamentare e attuale presidente della Provincia di Catania che Lombardo considera come il suo avversario numero uno. Da quel momento apriti cielo. Accuse reciproche di lottizzazione, di occupazione delle poltrone e di clientelismo. Guerriglie nei comuni con esodi di massa. Con Castiglione (messo in quel posto da Renato Schifani, presidente del Senato, e da Angelino Alfano, proprio i due illustri esclusi dalla famosa cena) che da un lato ribadisce la «leale alleanza» con l’Mpa ma si affretta a precisare che dopo le Europee sarà «opportuna una verifica per rafforzare il governo regionale» poiché è l’Ars, controllata dal Pdl, il «vero motore della politica siciliana» dato che «ha varato più di 35 leggi, la maggior parte di iniziativa parlamentare e non governativa». E Francesco Cascio presidente dell’Ars che rincara la dose: «Stiamo valutando dopo il commissariamento dello Iacp, se ci sono le condizioni per denunciare Lombardo alla Procura della Repubblica per abuso di potere». Certo, altre malelingue dicono che Castiglione è spinto dalla volontà di regolare, con Lombardo, un vecchio conto politico e personale: quando, chiusa l’era di Umberto Scapagnini, il centrodestra dovette scegliere il nuovo sindaco di Catania, Castiglione credeva di essere il candidato naturale. Ma Lombardo pose un veto e preferì puntare su Raffaele Stancanelli, esponente di An. L’inizio della fine? O della faida di cui sopra? I primi giorni di febbraio con la dichiarazione di sfiducia a Lombardo da parte del leader siciliano dell’Udc Totò Cuffaro.

Quel «siamo stati amici», dell’ex governatore che sanciva il definitivo divorzio da Lombardo, con tanto di affossamento pubblico del suo governo: «La Sicilia da nove mesi è allo sfascio, con imprese e aziende in crisi e senza uno straccio di bando che sia stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale».

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