C i hanno provato per anni, in tutti i modi. Alla fine ce l'hanno fatta, cercando di far passare la sua morte come naturale. Alexei Navalny è morto ma in un certo qual modo è ancora vivo e resta una spina nel fianco del regime russo di Vladimir Putin. Il principale oppositore del despota del Cremlino sapeva che di essere un dead man walking, un uomo morto che cammina. Dopo essere scampato a un avvelenamento, Navalny era in carcere dal 2021 dove stava scontando una pretestuosa condanna a 19 anni con varie accuse. Già in passato era stato fermato diverse volte per aver partecipato a manifestazioni di protesta contro Putin e per aver denunciato la corruzione dilagante nel suo Paese. La mattina del 16 febbraio, Navalny è morto nella colonia penale numero 3 dell'Okrug autonomo di Yamalo-Nenets, un carcere siberiano ai confini del mondo. Ufficialmente per un malore, tesi a cui nessuno, sin da subito, ha creduto. Attivista, leader e fondatore del Partito Democratico del Progresso, ha stilato decine di report per denunciare la corruzione in Russia favorita dal regime di Putin. Arrestato e condannato più volte, gli è stato impedito di candidarsi alle elezioni per il parlamento. Nell'agosto 2020 viene avvelenato con un agente nervino durante un volo da Tomsk a Mosca. Curato a Berlino, decide per una sorta di martirio volontario: rifiuta di restare all'estero, torna in Russia dove viene arrestato appena atterrato a Mosca.
La sua morte ha scosso e indignato il mondo intero che ha puntato il dito contro il mandante, morale ma non solo, Vladimir Putin. In Russia gli oppositori si eliminano così. Ma Navalny era e rimane un simbolo della voglia di libertà di un uomo e di un intero Paese soggiogato da un regime criminale.
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