Luigi Preti, uomo di Stato e di scrittura

Autore di «Ricordi di ottanta anni di vita italiana»

Non finisce di meravigliare Luigi Preti, oggi novantaduenne, per oltre quarant’anni parlamentare della Repubblica, per quattordici ministro. È ancora sulla breccia, che nel suo caso non è una espressione meramente retorica: scrive (sono quasi una ventina i suoi libri), pubblica articoli e lettere sui giornali per puntualizzare e affermare il proprio punto di vista. È il «grande vecchio» della socialdemocrazia italiana, anche se di senile nel suo comportamento e in tutta la dinamica della sua vita non c’è davvero nulla. Lo si incontra tuttora come «pendolare» sui rapidi Bologna-Roma o per le strade romane, che percorre a piedi.
Ammirevoli sono la sua coerenza e fedeltà agli ideali che ne hanno caratterizzato la militanza politica. Socialista, nel 1947 fece con Saragat la scelta socialdemocratica, partecipando da protagonista alla vicenda storica che si svolse a Palazzo Barberini con la scissione dal Partito socialista che Nenni invece volle allora nel patto di unità e di azione col Pci dichiaratamente stalinista.
Sono passati 59 anni e Preti non ha mai tradito quella scelta, allora davvero controcorrente e coraggiosa. Del partito socialdemocratico è stato tra l’altro segretario, ed ancora oggi è alla socialdemocrazia che dedica tempo, studi e iniziative. Nelle settimane scorse ha pubblicato a pagamento un annuncio sul Corriere della Sera per testimoniare pubblicamente e inflessibilmente la sua fede. L’annuncio si chiude con questa frase: «Devo dire che purtroppo, finora, non mi hanno ascoltato né gli esponenti politici né gli organi d’informazione».
Parole che destano qualche turbamento e anche un po’ di imbarazzo in taluni ambienti. Quanti ce ne sono oggi, tra i politici, che possono vantare curricolo, coerenza, forza morale e anche cultura come Luigi Preti? Quest’uomo è stato membro della Costituente (di suo nella Costituzione italiana c’è, come dimostrano gli atti parlamentari, un emendamento che definisce la magistratura non «potere», come qualcuno aveva proposto, ma «ordine autonomo»), è scrittore non di second’ordine (il suo Giovinezza, Giovinezza vinse il Premio Bancarella nel 1964), studioso serio, non superficiale (vanno citate almeno due sue opere: Le lotte agrarie nella Valle Padana e Giolitti e i riformisti), persona di gran carattere e aduso, per educazione e cultura politica, a rispettare gli avversari, pur combattendone fermamente le idee, ma praticando quel fair-play che da anni purtroppo non c’è più nella politica italiana.
Tutte qualità che risaltano nel suo ultimo recentissimo libro Ricordi di ottanta anni di vita italiana (Gangemi Editore, pagg.

254, euro 15) al quale mi sia permesso di dedicare questa colonnina come recensione. C’è solo un rammarico, che vale la pena di esprimere: che ad un uomo siffatto il Quirinale finora abbia negato il riconoscimento di senatore a vita.

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