L'ultima lezione di Aron: la libertà bisogna volerla

Non esiste una formula per crearla e preservarla: è una conquista storica che dipende dalla volontà di chi governa e dei cittadini

L'ultima lezione di Aron: la libertà bisogna volerla

Di Raymond Aron, uno dei maggiori pensatori liberali del Novecento, le Edizioni Dehoniane di Bologna pubblicano ora la sua ultima lezione tenuta al Collège de France il 4 aprile 1978: Libertà e uguaglianza. L'ultima lezione al Collège de France , pagg. 75, euro 8,50. Si tratta di un testo importante, e per molti versi significativo, perché sottende ad un problema centrale della modernità, e cioè al rapporto complesso e controverso tra la libertà e l'uguaglianza, che a sua volta comporta una serie di questioni che, anche se non sono tutte esplicitate, sono comunque connesse. Il punto di vista di Aron si può riassumere in questo modo: non ha senso parlare in astratto della libertà e dell'uguaglianza perché bisogna sempre contestualizzarle entro una società storicamente data. Il suo, però, è un realismo che non prelude ad alcuna forma di relativismo perché questo contesto è dato comunque dall'Occidente liberaldemocratico - unico luogo dove si dà questo problema - ed è dunque qui che bisogna trovare la soluzione.

È evidente che Aron concepisce l'uguaglianza come una forma derivata della libertà, come una sua inevitabile, benefica e possibile conseguenza: maggiori e più ampie sono le libertà che una società può dare, maggiori e più ampie sono le opportunità di uguaglianza che per tutti ne derivano. Nelle democrazie liberali si può individuare e distinguere un intreccio pluralistico di quattro libertà. La prima libertà è la sicurezza o la protezione degli individui. La seconda è la libertà di circolazione all'interno del proprio Paese e al di là dei suoi confini. La terza è la libertà economica. La quarta comprende la libertà religiosa e, più in generale, la libertà di opinione, di espressione e di comunicazione.

Per Aron il problema è prima di tutto politico, nel senso che per ottenere e alimentare queste libertà, che egli riconosce essere imperfette, ancorché imprescindibili, è necessario volerle. Non vi sono formule di alcun tipo che di per se stesse siano in grado di produrle e di conservarle, nel senso che non è sufficiente una risoluzione puramente «ingegneristica» e costituzionale; né esse nascono spontaneamente da un potenziale ordine naturale sotteso alla comunità umana. Ne consegue che una maggiore o minore libertà e dunque una maggiore o minore uguaglianza dipendono dalla volontà politica di chi governa e della maggioranza dei cittadini che sostengono il governo: due poli che non possono essere separati. Se non che, ed è questo il punto centrale, il risultato complessivo non è affatto scontato perché queste conquiste sono storiche e non si danno mai una volta per tutte. Se ne deduce, pertanto, l'estrema fragilità della creazione politica più importante degli ultimi duecento anni, la democrazia, la quale vive nella misura in cui si vuole che viva.

La visione di Aron è una visione tragica, nel senso che il potenziale creativo della storia rende vano ogni sforzo volto a imbrigliarne definitivamente gli esiti e gli sviluppi. Il suo è un illuminismo realistico e disincantato, laico ma non laicista, lontano da ogni estremismo razionalistico e ottimistico che, irresponsabilmente, assegna agli uomini compiti superiori alle loro forze, spingendoli verso traguardi politici, sociali ed economici del tutto impossibili. Si tratta invece di convivere con i propri limiti, onde ricavare proprio da essi tutte le varianti possibili del compromesso tra le aspirazioni e la realtà, senza coltivare aspettative messianiche di alcun tipo.

In tutti i casi non basta volere la libertà, bisogna anche amarla e questo sentimento si accompagna alla «rappresentazione della buona società», ovvero al riconoscimento che la società nella quale si vive deve essere considerata giusta perché «la coscienza della libertà non si separa dalla coscienza della legittimità della società». Cioè, un ordine diventa giusto e possibile, se viene interiorizzato, recepito e vissuto come tale. Ogni ordine politico imposto da un determinato potere, come ogni potere politico espresso da un determinato ordine, reggono e durano nel tempo e nello spazio finché sono legittimati, vale a dire finché i princìpi generali che presiedono alla loro vita sono considerati e accettati come equi e come veri dalla stragrande maggioranza dai componenti della comunità. Senza questa decisiva, fondamentale condizione, ogni ordine e ogni potere si ritroveranno sempre soggetti a squilibri, rotture, insorgenze, vale a dire sempre sottoposti ad un malessere materiale e ideale; sequenze, tutte, che metteranno in discussione il valore della loro esistenza e dunque la legittimità della loro vigenza.

Di qui l'assoluta necessità di una continua e incessante educazione alla libertà, al sentimento di libertà; una virtù civica che, naturalmente, non può essere imposta, ma deve essere propagandata e alimentata il più possibile.

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