Magia nera, omicidi e pedofili Ecco il remake di «Twin peaks»

LATINISTA Come Dale Cooper, lo sceriffo Griffin Conroy è un investigatore anomalo

New YorkVent’anni dopo il felice debutto televisivo di Twin peaks, l’indimenticabile thriller psicologico del regista David Lynch, la rete televisiva ABC ci riprova. E propone, nel prime time serale del mercoledì, il nuovo serial Happy Town, che sembra voler seguire il copione assurdo, intellettuale e quasi scellerato della leggendaria serie televisiva scritta da Lynch insieme a David Frost. Due geni della televisione che però, dopo solo trenta puntate di quell’esperimento televisivo - mandato in onda per la prima volta l’otto aprile del 1990 - si erano ritrovati tra le mani una sceneggiatura così complicata, appesantita da troppi personaggi affascinanti sì ma anche perfettamente assurdi, da dover troncare la trasmissione dopo che il pubblico - stanco di aspettare - aveva affievolito la suspense domandando di scoprire chi aveva ucciso Laura Palmer, la reginetta di bellezza trovata strangolata e avvolta in un sacco di plastica.
Twin peaks era diventata un cult movie, di cui gli americani avrebbero parlato per anni mentre il settimanale Time l’avrebbe annoverato tra i 100 migliori telefilm della storia; eppure i produttori della ABC hanno aspettato fino ad oggi per tornare a proporre un serial che sembra copiare non solo la suspense ma anche i personaggi e le tresche del telefilm di Lynch.
Come il tranquillo paesino inventato da Lynch, anche stavolta all’apparenza le case e i negozietti di Haplin (paesino fittizio sperduto nelle bucoliche campagne del Minnesota) non dovrebbero nascondere altro che una vita tranquilla, famiglie unite e un quotidiano dettato dal lento trascorrere delle stagioni. Invece, come ci aveva insegnato Lynch nel suo telefilm e pochi mesi dopo nel lungometraggio Blue Velvet (interpretato da Isabella Rossellini, che all’epoca era anche innamorata del regista) dietro alle finestre delle case americane, nei paesini che costeggiano autostrade a panorami alla Norman Rockwell, si nascondono perversioni, personaggi gotici, pedofili e il solito serial killer a caccia di vittime.
Nella scena iniziale di Happy Town, un giovane fa scendere dalla sua auto una ragazzina. È notte, la teenager cammina da sola e la suspense cresce (grazie anche alla bellissima musica di Angelo Badalamenti) finché la giovane sente delle urla provenire da una capanna di pescatori, sulle rive di un lago ghiacciato. È inverno, l’atmosfera è spoglia e grigia (la serie è stata girata in Canada) e nella capanna giace il corpo del pedofilo locale, con una sbarra di ferro infilzata in fronte. In paese si accusa subito dell’omicidio Magic man, il serial killer definito magico poiché, di anno in anno, fa sparire le sue vittime (soprattutto bambine) senza lasciare alcuna traccia.
Se Twin peaks aveva sguinzagliato sulle orme dell’assassino di Laura il suo insolito agente dell’Fbi, Dale Cooper (l’attore Kyle McLachlan), ad Haplin è lo sceriffo Griffin Conroy, insieme al figlio, a seguire le indagini. Come Cooper, anche lui è, a dir poco, sui generis: uno sceriffo che usa il latino (definisce Magic man «vis major») e parla un inglese infarcito di citazioni letterarie; per non parlare poi delle sue bizzarre cadute in stato di trance, durante le quali si riferisce a una certa Chloe e dichiara cose assurde come: «Se tocchi il Bambin Gesù, ti faccio indossare il costume della mucca».
Se in Twin peaks era il tronco di un albero a trasmettere messaggi metafisici, nel nuovo telefilm i protagonisti (numerosi gli attori presi in prestito da Lost, October road e Wings) ascoltano invece lo sceriffo e gravitano intorno alla panetteria, alla pensione dove vivono alcune strane vedove e all'ultima arrivata - una donna intenzionata ad aprire un negozio di candele.


Happy town prende spunto anche da alcuni best seller di Stephen King e fa crescere sia la suspense che l’audience: come per il telefilm di Lynch, anche stavolta c’è una fetta di americani assetati di un thriller paranormale che però, a differenza di molti film dell’orrore, è ad alto contenuto di sofisticazione, scritto benissimo e pieno di riferimenti al mondo della più alta letteratura. Il negozietto di Haplin che vende souvenir di vecchi film si chiama difatti «The house of ushers», un’espressione usata da Edgar Allen Poe.

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