Almasri, l'ultima carta di una sinistra alla frutta

Sette presidenti del Consiglio indagati su dodici non sono una coincidenza, non sono un'esagerazione, sono una vergogna tutta italiana

Conferenza Stampa di inizio anno di Giorgia Meloni
Conferenza Stampa di inizio anno di Giorgia Meloni
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Il paradosso è che ora è la sinistra a gridare al complotto. E ad accusare la premier Meloni di usare l'iscrizione nel registro degli indagati, sua e dei ministri Nordio e Piantedosi sul caso Almasri, per evitare il confronto in Parlamento e levarsi la responsabilità politica della vicenda elevandosi a vittima sacrificale della giustizia come al tempo fu Silvio Berlusconi. La verità è che di vendetta si tratta e aggiungo «pesantissima» da parte di una magistratura ostile alla riforma della giustizia in discussione in Parlamento che finalmente separa la carriera delle toghe ponendo fine a una incomprensibile e pericolosissima deriva italiana e avvicinandoci alla condizione illuminata di tanti Paesi in cui l'indipendenza è solo dei giudici. E ha fatto benissimo la premier a mettere i puntini sulle «i» del caso sottolineandone tutte le incongruenze (per usare un eufemismo): dalla richiesta di arresti del capo delle guardie libiche da parte della Corte penale internazionale, pervenuta caso strano appena il generalissimo ha toccato il suolo torinese e non mentre girovagava per buona parte d'Europa nell'indifferenza generale, fino alla denuncia da parte di un avvocato (Luigi Li Gotti) «ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi e noto per aver difeso pentiti di mafia del calibro di Buscetta».

Non so se è chiaro. Ma dopo la scarcerazione da parte della Corte d'appello - per un vizio di forma o un cavillo come è stato detto - Meloni aveva tutto il diritto di rimpatriare un pericoloso individuo che si è macchiato di crimini odiosi in Libia. Vogliamo forse sbattere in galera un governo perché fa il suo mestiere e difende i cittadini? E cosa c'è di anomalo nell'uso di un volo di Stato se la procedura è la stessa usata decine di volte in passato e da altri governi in altre circostanze simili? È peraltro evidente che trattenere un simile soggetto e consegnarlo alla Corte Penale Internazionale avrebbe provocato una reazione da parte della Libia, con possibile o forse sicura scarcerazione di chissà quanti immigrati libici pronti a partire per le coste italiane. E allora sai le risate...

Meloni ha preso una decisione che era solo sua e solo politica. Eppure una certa magistratura politicizzata che sfila davanti ai palazzi di giustizia e inscena clamorose proteste contro la riforma in discussione vorrebbe metterle addosso lo stigma di favoreggiamento e peculato. Salvo precisare due secondi più tardi (e resasi conto del clamore e dell'effetto boomerang del provvedimento) che trattasi banalmente di «atto dovuto contemplato da una legge costituzionale». Insomma un passaggio formale...

Siamo seri. Sette presidenti del Consiglio indagati su dodici non sono una coincidenza, non sono un'esagerazione, sono una vergogna tutta italiana. E mi stupisce che neppure il caso recente di Milano, con le inchieste a raffica sull'urbanistica che stanno paralizzando la città motore d'Italia e la richiesta di arresti domiciliari per due archistar nostrane vicine alla sinistra green e salottiera di Sala in relazione al grande progetto edilizio della Biblioteca Europea, non abbia ancora svegliato l'opposizione dal torpore in cui è caduta, convincendola dell'opportunità di una riforma che dia a ognuno il suo mestiere. Alle toghe quello di perseguire una giustizia rapida e imparziale. Ai politici quello di fare politica e governare per il bene dei cittadini.

Forse però il problema si chiama Meloni. Girano le balle assai a questa sinistra, ammuffita e nostalgica di nemici da abbattere e di spauracchi fascisti, che sia una esponente di centrodestra la prima premier donna espressa dal Paese e che le sia riconosciuta credibilità e spessore in Europa e nel mondo. Amica di Trump e dell'eclettico miliardario che gli sta al fianco (Musk). Abilissima a districare problemi ed emergenze.

Persino a riportare a casa e salvare la pelle alla nostra imprudentissima Cecilia Sala. «Non mi fermo e non mi lascio intimidire», ha ribadito la premier. Una con le palle, insomma. Accessorio di cui ahimè tanti a sinistra sono sprovvisti. E dettaglio di cui forse la magistratura non aveva tenuto conto.

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