L'udienza preliminare è durata quasi come un processo, oltre due anni e mezzo, ma alla fine il processo non ci sarà. Viene prosciolto Matteo Renzi, viene prosciolta Maria Elena Boschi, viene prosciolto Luca Lotti e con lui tutti gli indagati. Il caso Open si affloscia come un palloncino bucato. E questo nelle stesse ore in cui Giovanni Toti perfeziona un mini patteggiamento che è davvero un'increspatura rispetto allo sconquasso provocato dall'arresto e dalle dimissioni forzata da governatore della Liguria. Qualcosa non quadra nel nostro sistema e il virus indebolisce la nostra democrazia.
La politica, sempre più incerta, scrive balbettando leggi e regole che si prestano ad essere interpretate e la magistratura legge con la lente del pregiudizio gli atti che gli stessi politici compiono. Un cortocircuito che il parlamento dovrebbe fermare con atti più incisivi e netti. Ma anche la magistratura dovrebbe guardarsi allo specchio senza far scattare, ogni volta, riflessi corporativi. Si dirà che la morte dell'indagine su Open è la prova che i giudici sanno arginare i teoremi delle procure ma non può essere che un ex presidente del consiglio rimanga anni e anni sotto i riflettori accecanti della magistratura e che l'accusa, tutte le accuse di tutti gli indagati, evapori nel nulla senza nemmeno arrivare a dibattimento. C'è una sproporzione fra le premesse e le conclusioni che lascia sbalorditi e non può essere ignorata: tutta la letteratura sul Giglio magico e i suoi traffici opachi era dietrologia.
Ma nessuno prende nota davanti a quella che sembra essere una catena di montaggio degli errori, errori della giustizia, sia pure declinati in vario modo. Avanti con le riforme annunciate, dunque, e con l'affermazione di un principio sacrosanto: il potere è l'altra faccia della responsabilità. Certi eccessi non dovrebbero più essere tollerati.
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