La giornata dei carnefici

Ma che succede? Giuseppe Santalucia, presidente del sindacato unico dei magistrati (Anm), alla vigilia del voto in Commissione pone il veto: è una giornata pericolosa

La giornata dei carnefici
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No, quella no. Alla «memoria delle vittime degli errori giudiziari» non bisogna dedicare nessuna giornata, neppure un'ora, neanche mezz'ora o cinque minuti, bensì respingere, oppure dimenticare, lasciar perdere, glissare. Ecco, alla fine ha vinto la logica del manzoniano Conte Zio: rinviare, posticipare, sospingere oltre l'orizzonte del tempo «per non essere divisivi». Questa alla fine è stata la scelta obbligata della Camera grazie alla tattica vergognosa della sinistra. Una vicenda, come usava cominciare la sua rubrica su Candido Giovannino Guareschi, anch'egli vittima ingiusta del carcere, «molto istruttiva». È capitato che Forza Italia, Lega e Italia Viva si accordassero per proporre una legge che stabilisse nel calendario ufficiale della Repubblica una data annuale per scuotere la coscienza di questo Paese afflitto dalla malagiustizia, infilando altresì un sassolino nei mocassini scamosciati della magistratura. L'idea non balzana dei promotori è stata di individuare subito, per fissare la ricorrenza annuale, l'episodio, tra i mille e più che screziano di cacca la storia giudiziaria della Repubblica, che fosse il più vergognoso e imperdonabile. Eccolo: 17 giugno 1983 ore 8, Roma via del Corso fuori dall'Hotel Plaza, l'arresto, con ammanettamento a beneficio di telecamere, di Enzo Tortora. In quegli istanti lo assassinarono nella sua reputazione la cui decomposizione sulla pubblica piazza afferrò con le unghie del cancro il suo corpo indifeso. Ne morì. Era stato trafitto da pugnali di pentiti falsari, con il beneplacito niente affatto innocente di pm, giudici, giornalisti (non

tutti: io, insieme a pochissimi altri, no). 17 giugno, ogni anno, come un martello sulla campana, come una mazza sul tamburo. Orrenda e gloriosa data per le persone care ad Enzo: riapre le ferite ma impedisce l'oblio. Un appuntamento imperdibile per tutti gli italiani proprio perché scomodissimo per i boia e chi pretende di solidarizzare ancora con i protagonisti di quei fatti e i loro risorgenti discepoli. Gaia, figlia di Enzo, interpellata dai deputati promotori Pietro Pittalis (FI), Ingrid Bisia (Lega) e Davide Faraone (IV), ha chiesto che quel giorno era perfetto, ma per favore no, non fosse intitolato al babbo Enzo. Proprio perché egli si batté non tanto per se stesso, ma per il «bene comune», per i martiri sconosciuti, così che non si ripetesse lo scempio subito dalla sua famiglia. Desiderio accolto. Tanto più che a parte il no scontato, sempre e comunque, di Giuseppe Conte e dei suoi Cinquestelle si era in tal modo venuti incontro alla osservazione diciamo così tecnica del Partito democratico, che aveva sostenuto non essere Tortora vittima definitiva della giustizia, la quale bontà sua aveva infine assolto in appello il grande giornalista. Una ipocrisia, una finzione. Ridicola, se non fosse tragica ripetizione del famoso detto popolare: l'operazione è riuscita, il paziente è morto. Ma tant'è: problema contingente risolto. Niente intitolazione a Tortora ma la giornata si fa. Ci sarà il parere favorevole anche di Pd e di Verdi e Sinistra per passare la proposta all'assemblea plenaria e al voto finale. Ma che succede? Giuseppe Santalucia, presidente del sindacato unico dei magistrati (Anm), alla vigilia del voto in Commissione pone il

veto: è una giornata pericolosa. Testuale: «Il pericolo è di indurre sfiducia pubblica». Una gigantesca menzogna, per la quale provo disgusto: la sfiducia non è generata dalla memoria delle vittime, che dovrebbe essere sacra per tutti, ma dal ricordo del boia e delle sue boiate. Il Pd si adegua a Santalucia. E per giustificare il «contrordine compagni» ha la faccia tosta di nominare ancora Tortora. Capovolge infatti il perché del suo rifiuto a sottoscrivere la proposta: ci asteniamo perché bisognava intestarla all'autore e conduttore di Portobello. Risultato: vince il Conte Zio Stalin, tutto è rimandato, ridiscusso, infine si vedrà, parapapunzipà. Gaia Tortora commenta la decisione di Elly Schlein e comunisti così: «Fate pietà». Io correggo, fate schifo. Ma almeno avete lasciato la vostra impronta digitale sulla fronte delle vittime: è la stessa dei carnefici di Tortora e di tanti altri.

E dire che si celebra di tutto: accanto a quelle molto impegnative e doverose (la memoria della Shoah, il ricordo delle foibe e degli esuli istriani, quello delle vittime del terrorismo) c'è la giornata dell'acqua, del vino, della terra, delle zucche, della gentilezza, anche da me apprezzata quella del gatto. Ma per le vittime della malagiustizia non dev'esserci posto in Italia. Ah sì? Idea. Se ne istituisca una in onore del boia, che non sbaglia mai un colpo sul tenero collo dei tanti Tortora dell'universo.

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