
Nell'arena politica italiana, le richieste di dimissioni per i membri del governo, sono un rito voodoo. Schlein e Conte, divisi su tutto, la sera si ritrovano con gli spilloni e la bambolina di giornata. Ci infilzano in questi giorni il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove (uno spillone per ogni cognome) e insistono disperati da mesi senza risultati, vista la pelle coriacea e serpentesca della Pitonessa, sul ministro del Turismo Daniela Santanchè.
Questa liturgia progressista, formalmente ortodossa, è distruttiva del nostro sistema democratico di divisione dei poteri, assegnando un sovrapotere tirannico a quello della giustizia.
La divisione dei poteri, sancita dalla Costituzione, e mi scuserete se navigo nel mare dell'ovvio, esiste per proteggere i diritti individuali e garantire l'esercizio della sovranità popolare. Questo implica che un'azione giudiziaria di natura intermedia comprese le condanne di primo e secondo grado non possa interrompere l'esercizio di cariche esecutive e legislative. La storia recente ci insegna che figure di spicco come Silvio Berlusconi e Matteo Salvini da premier e vicepremier - hanno affrontato processi durante il loro mandato senza che ciò comportasse automaticamente la loro rimozione. Entrambi, alla fine, sono stati assolti (Berlusconi fu condannato quando era semplice senatore e per questo estromesso da Palazzo Madama non dai giudici ma da un voto dell'Aula).
L'elezione di Donald Trump negli Stati Uniti ha segnato un punto di svolta nella percezione pubblica riguardo la responsabilità politica e al prevalere semmai del voto popolare sulle interferenze di procuratori e giudici. Trump ha affrontato
numerosi procedimenti legali e persino una condanna, ma ha potuto condurre nella più grande democrazia del mondo la sua campagna presidenziale e tranquillamente (a parte qualche fucilata assassina) esercitare il suo mandato. Questo scenario evidenzia una realtà fondamentale: la fiducia del popolo e l'elezione sono contrappesi al potere giudiziario. Non si comprende perché una decisione di un giudice, specialmente se temporanea, debba avere un peso maggiore rispetto a un voto popolare, che è, per sua natura, inappellabile.
Il dubbio sulla moglie di Cesare, come insegna la storia, non impone a Cesare di divorziare. Dico questo in riferimento alle pressioni esercitate su Giorgia Meloni con la Santanchè ormai siamo al gossip delle borsette - per indurla a sfiduciare parlamentari eletti dal popolo, e quindi operativi in un governo che ha riscosso la fiducia delle Camere.
Niente da fare, le richieste di dimissioni persistono. Esse sono uno spillone che più che ferire i preordinati bersagli bucano il nocciolo della Costituzione.
I tre poteri previsti dalla Costituzione - legislativo, esecutivo e giudiziario (quest'ultimo anzi vi è qualificato come ordine giudiziario) - sono concepiti per cooperare. Le sentenze della Corte costituzionale (in particolare la n.242 del 2019) invocano la «leale collaborazione» tra le istituzioni dello Stato. Non è previsto che tra essi ce ne sia uno che possa surclassare gli altri, come invece costantemente in Italia pretendono l'Associazione nazionale magistrati e i partiti progressisti che amano cavalcare i sospiri dei loro referenti tribunalizi. E se proprio si dovesse individuare un primus inter pares quello, come recita l'articolo 1 della Carta, sta nell'ambito della «sovranità popolare» che si esprime mediante
il voto, e non del Csm, che è eletto con i voti, ma non quelli del popolo, bensì in gran parte da quelli della casta. La quale casta, da intendersi come sostantivo e non come aggettivo, vede se stessa ed è vista dalla sinistra come unico arbitro della verità, pressoché infallibile. Basta che uno sia impigliato nei suoi ingranaggi e va a ramengo la presunzione di innocenza. Il potere giudiziario a questo punto si trasforma in Moloch: basta che indichi con il dito un sospetto e i progressisti esigono che sia infilato nella fornace dei sacrifici umani. Invece di essere un controllore, diventa un super-potere, che invece di applicare la legge, non solo la aggira o tradisce (vedi le sentenze sui centri per clandestini in Albania) ma pretende - tramite i suoi giannizzeri in Parlamento e nei media - di cancellare i personaggi del governo sgraditi, vanificando il senso dei tre gradi di giudizio e del voto popolare.
Per cacciare gente perbene si usa l'argomento dell'opportunità. È un'arma sleale. Fa prevalere l'opinione sulla legge. Ovvio che un processo o una sentenza di primo grado inducano il sospetto su Tizia e Caio. Non possono però trasformarsi in ricatto morale verso i medesimi soggetti o il premier per obbligare a estromissioni.
Si tratterebbe di un doppio salto mortale: della logica e della morale.Dovrebbero dimettersi per manifesta stupidità incostituzionale Schlein, Conte e persino qualche togato che tratta le critiche alla sua categoria come bestemmie. Se Dio c'è, ma non credo, non ha la toga.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.