Mentre la nave della marina militare italiana, Libra, vaga nel mediterraneo per raccogliere emigranti clandestini e condurli nel campo di accoglienza allestito in Albania, è sempre più chiaro che il braccio di ferro tra il governo e alcuni tribunali italiani sull'elenco dei paesi da considerare sicuri per il rimpatrio travalichi l'argomento ma investa direttamente l'equilibrio costituzionale, o meglio i confini tra i Poteri esecutivo, legislativo e giudiziario che ha visto quest'ultimo negli ultimi trent'anni (da Tangentopoli in poi) allargare il proprio campo di influenza. È come se nella vita la sfera giudiziaria fosse diventata centrale a scapito chessò di quella politica o finanziaria: gira che ti rigira ogni tema, vicenda, vertenza finisce lì.
La questione non riguarda solo i magistrati ma anche gli avvocati e altre categorie che fanno parte di quella vera e propria industria - esosa e inefficiente - che è diventata l'amministrazione della giustizia. Se si pensa che il numero dei legali in Italia è superiore a quelli di Germania e Francia messi insieme, si comprende che c'è qualcosa che non va, che viviamo una condizione che non garantisce per nulla il cittadino e a quanto pare neppure il governo o gli altri Poteri: siamo passati dallo «stato di diritto» allo «stato del cavillo».
Siamo al Manzoni un secolo e mezzo dopo: nel paese dell' «Azzeccarbugli» attraverso il «cavillo» giuridico i tribunali puntano a governare, legiferare, interpretare le leggi. E visto che da noi le sentenze non fanno giurisprudenza, non sono vincolanti per i giudizi successivi (non esiste il common law come in Inghilterra o negli Usa) ogni tribunale può interpretare una legge come vuole, può comportarsi come desidera, può fare e disfare: uno stesso processo può finire in un modo a Milano e in un altro a Roma. Così Matteo Salvini per una vicenda analoga può essere assolto da un tribunale e rischiare una condanna di 12 anni da un altro. Oppure basta una sentenza a Roma e un ricorso alla Corte europea a Bologna per impedire il rimpatrio dei migranti clandestini, perché i magistrati possono sostenere - a quanto pare interpretando i tarocchi visto che non dispongono di ambasciate in loco o altro - che l'Egitto non è un paese sicuro. La cruda verità è che a questo punto chi deve sperare di trovare «un giudice a Berlino» è il governo italiano, non altri. Quindi il punto centrale non è l'emigrazione, i rimpatri o altro, ma chi ha il diritto di governare in Italia. In Germania il cancelliere può riconsegnare 12 afghani a quei cavernicoli che sono i talebani. In Italia la presidente del consiglio non può rimpatriare egiziani, magari criminali, nel loro Paese perché non è sicuro anche se ogni anno due milioni di turisti italiani pernottano all'ombra delle piramidi. Qui lo «stato di diritto» non c'entra nulla al punto che l'ex-giudice italiana alla Corte di giustizia europea, Lucia Serena Rossi, nominata dal governo Gentiloni, è arrivata ad una conclusione disarmante sull'ultima sentenza della CGE che da noi ha fatto scalpore sul tema dei rimpatri: «in Italia non l'ha capita nessuno»; ed ancora «si limita a ribadire che è competenza degli Stati fissare la lista dei paesi sicuri». Ecco perchè l'obiettivo di un pezzo di magistratura è un altro ed è vecchio come il cucco se il cucco avesse trent'anni: impedire al governo di governare e alla politica di decidere adottando la «guerriglia del cavillo».
E le ragioni di questa tattica probabilmente sono le stesse che ci portiamo dietro dal 1994: fare politica contro un governo di centro-destra che viene considerato sempre e comunque un usurpatore; impedire una riforma della giustizia efficace, a partire dalla separazione delle carriere tra giudici e pm, che ristabilisca anche l'equilibrio dei poteri e faccia ritornare la magistratura nel suo alveo costituzionale. Insomma, una vecchia storia per il Belpaese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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