Altro che "cavilli". Le motivazioni della sentenza con cui Silvio Berlusconi e tutti gli imputati del cosiddetto processo Ruby ter vennero assolti tre mesi fa dalle accuse di corruzione giudiziaria e falsa testimonianza poggiano direttamente sulla basi dello Stato di diritto. Nelle motivazioni, 197 pagine depositate questa mattina dal presidente del tribunale Marco Tremolada, si scrive chiaramente che quel processo non doveva neanche iniziarie. Perché le testimoni che Berlusconi era accusato di avere "comprato" in realtà non erano mai state testimoni, ma erano di fatto indagate dalla Procura di Milano: avrebbero potuto rifiutarsi di rispondere, avrebbero avuto il diritto a un avvocato. "Non si discute di un mero sofisma, di una rigidità procedurale, di una sottigliezza tecnica priva di contenuti. Tutelare il diritto al silenzio significa assicurare l’effettività della garanzia di un principio che affonda le radici nel direttamente nel diritto di difesa, costituzionalmente garantito e pietra d’angolo dell’ordinamento giuridico". Conclude il giudice: "Le pur legittime esigenze punitive non possono mai indurre ad abdicare alla garanzia di un diritto fondamentale".
Parole pesanti, come si vede, verso l’operato della Procura, che a tutti i processi del filone Ruby ha dedicato per dieci anni impegno e risorse, per vederli poi inabissarsi al momento delle sentenze. Su quanto accadeva davvero nelle serate di Arcore, il giudice Tremolada sembra avere idee chiare, quando definisce "inequivoche" alcune intercettazioni. E che le imputate, a partire da Ruby, abbiano mentito quando hanno dichiarato di non avere assistito o partecipato a nulla di compromettente, appare per il giudice ragionevolmente accertato. Ma, dice in sostanza la sentenza, se hanno mentito avevano il diritto di farlo. A sbagliare in toto è stata la Procura, che le ha portate in aula senza garanzie. "Se si fossero osservate le garanzie collegate alla effettiva veste delle dichiaranti non si sarebbero disperse energie processuali nelle acquisizioni di dichiarazioni da fonti che si sapevano inquinate a monte (…) il presente processo non ha potuto fare a meno di ripristinare quell’ordine di garanzie violato".
Così si arriva al nocciolo della sentenza: "Se la fattispecie corruttiva non può configurarsi perché quelle che sono state ipotizzate come testimoni non hanno mai assunto quel pubblico ufficio, non può che condividersi per l’insussistenza del fatto anche nei confronti dell’ipotizzato corruttore Silvio Berlusconi".
La domanda a questo punto è: davanti alla nettezza della sentenza la Procura prenderà atto della sconfitta e si ritirerà in buon ordine? O sceglierà di fare appello e andare avanti? La risposta è fin troppo facile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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