Mille pagine e un anno di viaggi per tutta lEuropa per scrivere ogni giorno un articolo per la prima pagina del suo giornale, Nrc Handelsblad. Mille pagine vivaci, a modo loro elegantemente raffinate, ricolme di aneddoti gradevoli, di annotazioni colte e ben costruite. Ecco un primo bilancio impressionistico della straordinaria fatica giornalistica di Geert Mak, uno dei più noti pubblicisti olandesi, celebre anche per un pamphlet sulla crisi interna che dilania da anni lOlanda dopo lassassinio di Pim Fortuyn, lanomalo leader gay dellestrema destra, e lo sgozzamento di Theo van Gogh da parte di Mohammed Bouyeri, che non accettava limpegno del regista di sinistra per la dignità delle donne musulmane.
Il racconto che Mak fa in In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo (Fazi, pagg. 990, euro 34,50), sempre intrigante e scorrevolissimo, è un immenso resoconto narrativo, ricco di descrizioni trascinanti, sempre storicamente fondate e sempre ben documentate con tanto di ampia e solida bibliografia finale, degna di un autentico professionista del grande giornalismo occidentale, sempre più merce rara con il fast food culturale di questa prima fase della civiltà di Internet e dei telefonini. Lepopea della peregrinazione di Mak ci ricorda Danubio, il più bel libro di Claudio Magris, e, per chi ha una memoria più antica, i libri di viaggio di Vittorio G. Rossi, che nei primi anni del dopoguerra affascinavano noi giovani che non potevamo nemmeno sognare di volare low cost.
Eppure qualcosa manca a questo pur meraviglioso vagabondaggio culturale storico-geografico nelle terre e città e insieme nella storia dEuropa. Mak viaggia dal 4 gennaio al Natale del 1999, alla vigilia dellintroduzione delleuro, per tastare il polso alle genti del Vecchio continente, entusiaste e intimorite dalla grande svolta; viaggia da Amsterdam a Mosca, da Parigi a Predappio, da Auschwitz a Stalingrado, da Verdun a Novi Sad. Luoghi sacri e vividi della memoria europea, memoria di sangue e lacrime, di lutti e lotte, di odio e raramente di amore. Eppure qualcosa manca. Mak è colto fino allerudizione, domina una scrittura ironica e garbata, è uno di quegli scrittori che, animato da buon senso e da un autentico sentimento di tolleranza, ha sempre ragione, sempre.
Per questo qualcosa gli manca, gli manca quasi lanima dEuropa. Leggi mille pagine e poi non capisci perché un marocchino di buona cultura e di solidi studi abbia sgozzato Theo van Gogh, un intellettuale di sinistra. Mak è il tipico olandese, quello per intenderci con le tendine alle finestre, mentre fuori un milione di islamici mette in crisi la civilissima, tollerantissima Olanda multiculturale, multirazziale. Non è un caso che in mille pagine ricchissime di storia, colme di curiose citazioni e dindubbio spessore culturale con un «Indice dei nomi» di 27 pagine (una sorta di inventario della cultura del presente), siano assenti Kafka, Svevo, Rilke e Pessoa. Come se gli autori che hanno più interrogato la loro angoscia e langoscia della modernità pesassero nel racconto di Mak.
Ma se abbiamo accennato a questa insoddisfazione, il bilancio della lettura è positivo: il libro mantiene le promesse con mille lati positivi perché ogni pagina ci offre un incontro avvincente, ci porge notizie e dati interessanti, glosse storiche appassionanti, riflessioni stimolanti, descrizioni curiose e attraenti. Ogni capitolo è un microcosmo autonomo che risente della sua origine di pezzo giornalistico, sicché il libro può essere letto rapsodicamente, si presta a essere consultato mese per mese, città per città secondo il pellegrinaggio in Europa che il lettore vuole intraprendere in compagnia dello storico olandese. La sua tecnica è di sicura presa e di sottile intelligenza: ogni città è unoccasione di racconto del nostro presente con i personaggi che incontriamo in ogni visita, ad ogni nuova tappa. Il soggiorno a Parigi, Mosca, Berlino o Vienna è anche lopportunità di una retrospettiva storico-giornalistica per ripercorrere, nella storia dello ieri, la sofferenza e la labilità che spesso costituisce ancora la trama dei nostri giorni. E lo spessore storiografico più felice, e coscientemente tematizzato e applicato dallautore, risulta nella tecnica del racconto della storia, interrogata e spiegata attraverso le vicissitudini della gente, nelle microstorie che siamo, nei racconti con cui interpretiamo noi stessi e la realtà che ci circonda, e il tempo che ci costruisce e che noi stessi contribuiamo a essere quello che in definitiva diviene.
«Abbiamo, noi europei, una storia comune? Certamente, e lelenco è semplice: impero romano, Rinascimento, Riforma, Illuminismo, 1914, 1945, 1989. Ma quel che fa la differenza sono le esperienze storiche individuali degli europei, tutto quanto è catalogato nella nostra memoria». E il catalogo di queste avvincenti microstorie, che sono la storia, proposto da Mak si srotola per mille pagine tutte godibilissime e tutte - ahimé - terribilmente «politicamente corrette».
La nostra Europa ha conosciuto probabilmente un decennio, dalla caduta del Muro di Berlino allavvento delleuro, di fiducia felice, di spensierato, ottimistico ritorno dellilluminismo e poi il firmamento si è di nuovo incupito con la mattanza balcanica, gli incendi del Medio Oriente e lemergenza quotidiana dellimmigrazione, che nessuno sa ancora risolvere. La chiave di lettura di In Europa risulta oggi nellinventario della memoria europea. Un immenso affresco, di gradevolissima fattura, per ripercorrere ciò che eravamo nella breve stagione della felicità quando quasi quasi credevamo che la storia fosse veramente finita: i tedeschi amavano i francesi, i cattolici erano più ecumenici che mai e perfino in Irlanda cera voglia di pace e in tutto il Vecchio continente era un grandioso Addio alle armi collettivo, una libera uscita generalizzata.
Mille pagine e mille immagini tracciate con quellintelligenza ironica e colta, una delicata raccolta di istantanee di un album di famiglia - quella europea, ormai già di altri tempi.
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