Per il Mali arriva la luce italiana

Ieri i bagagli a Pratica di Mare, oggi la partenza. Volano verso il Mali, nel cuore dell’Africa nera subsahariana il C130 dell’Aeronautica militare e il C27J di Alenia carichi di ben quindici tonnellate di materiale sanitario e apparecchiature mediche d’avanguardia, con passeggeri «speciali» una cinquantina fra medici militari e civili, infermieri e personale tecnico di supporto. Hanno una missione: «Ridare la luce». Ovvero andare sul campo, trasferirvi per intero due sale operatorie e intervenire sulla cataratta di centinaia di persone, uomini, donne e persino bambini, ormai per la maggior parte già ciechi. Lavorando a ritmo serrato dalle sei del mattino fino a notte, con temperature di giorno tra i 30 e i 42 gradi ed escursioni termiche che al calar del sole portano il termometro fino a 5 gradi.
È la maledizione del fiume Niger, che con la sua acqua inquinata ha infettato oltre due milioni di persone e che non lascia scampo nemmeno ai più piccoli, tanto da insinuarsi nel loro codice genetico. «È la settima volta in quattro anni che andiamo in Africa. Saremo nei due villaggi di Gao e Ansangò - spiega il generale Manlio Carboni, oculista, comandante della missione -. Appena metteremo piede nel tropico del Cancro, troveremo ad aspettarci centinaia di persone che da giorni stanno attraversando il deserto sapendo del nostro arrivo. È un pellegrinaggio della speranza, il loro. Ed è una gioia immensa poter vedere le loro espressioni al momento del risveglio. Come schiavi prigionieri del buio che finalmente ritrovano la libertà».
L’obiettivo della missione nelle due settimane di permanenza sarà quello di raddoppiare il numero degli interventi, riuscendo a operare fino a settecento persone, con duemila visite ambulatoriali. C’è già chi è in lista d’attesa. «La voce di questa équipe italiana che ridà la vista con il tempo ormai si è diffusa - continua l’ufficiale - e non sempre riusciamo a smaltire tutte le richieste. E tutto ciò nonostante la proverbiale diffidenza di queste tribù, abituate a credere solitamente più agli stregoni che ai dottori. Dopo uno screening iniziale, dunque, cerchiamo di operare tutti quelli che ne hanno bisogno rimandandoli alla missione successiva».
Gli ospedali di Gao e Ansangò non sono altro che dei presidi d’emergenza realizzati sul posto dall’Afmal, l’associazione creata dall’ospedale Fatebenefratelli per i malati lontani. Lo staff medico e infermieristico che va a operare proviene inoltre dal Sacro Cuore di Gesù di Benevento, dal San Giovanni di Dio di Genzano, dall’ospedale di Colleferro e dal Sant’Eugenio dell’Eur. Il tutto reso possibile anche grazie alla collaborazione dei ricercatori dell’Università La Sapienza.


Nei villaggi del Mali lo scenario più devastante è quello di migliaia di bambini che bruciano la loro infanzia facendo da baby-guida a genitori o parenti adulti ormai totalmente privi della vista. Ragazzini che non corrono, non giocano, non vanno a scuola, non possono imparare un mestiere. La sfida, adesso, è come prevenire e stroncare il morbo.

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