La mamma di Cogne sfida i Pm in aula

Stefano Zurlo

nostro inviato a Torino

Si ricomincia. E si riparte da un video saltato fuori tre anni e mezzo dopo il delitto del piccolo Samuele. O almeno, seguendo questi fotogrammi, come fossero istruzioni per l’uso, l’avvocato Carlo Taormina vorrebbe riprovare a muoversi nello stretto, incombente perimetro del caso Cogne. Le immagini girate dai carabinieri del Nucleo operativo di Aosta nella villetta di Montroz la mattina del 30 gennaio 2002 offrirebbero una lettura certa della scena del delitto e scagionerebbero Annamaria Franzoni.
Si ricomincia. E questa volta ci sarà il popolo e ci saranno i giornalisti. Perso il dibattimento di primo grado, consumato in perfetta solitudine nella stanza del gup Eugenio Gramola, Taormina ha deciso di giocare un’altra partita, di segno opposto. Questa volta arbitri del duello, senza esclusione di colpi, fra accusa e difesa, saranno otto giudici: due togati e sei popolari. Insomma, ci sarà il popolo, sia pure di secondo grado, perché in assise la giuria era stata tenuta lontano dal recinto dibattimentale. In più nell’aula sei del palazzo di giustizia di Torino ci sarà la stampa. Centoquarantacinque giornalisti si sono accreditati e con loro venticinque reporter: si stringeranno tutti in un ambiente pensato per contenere settanta persone. Non sarà come andare al cinema, anche perché sono stati vietati videofonini e telecamere, ma certo una qualche atmosfera da reality entrerà in un salone dove si deve giudicare un crimine orrendo, un’operazione di macelleria compiuta su un bel bambino di tre anni, e in cui una volta per tutte si stabilirà se lei, la madre, è colpevole oppure no. Si ricomincia e anche lei, la mamma, ha deciso di ritornare sotto il fuoco dei media. Sarà presente, nell’aula sei, e sarà scortata dall’inseparabile marito, Stefano Lorenzi. Nelle interviste concesse nei giorni scorsi, la Franzoni è stata categorica: «La condanna? Non me ne frega niente, a me interessa trovare l’assassino. Io sono una mamma - ha spiegato al Resto del Carlino - e vivo per i miei figli». Ancora: «Ho due figli che mi stanno vicini. E poi un terzo figlio che cerca giustizia». Altrettanto netto, in queste ore di vigilia febbrile, è stato Taormina: «Il processo di primo grado avrebbe dovuto concludersi con l’assoluzione di Annamaria Franzoni ­ condannata invece a trent’anni ­ agli atti non esiste la prova certa della sua responsabilità». Il penalista semina invece dubbi. Estrae dal suo cilindro elementi nuovi o dimenticati, che poi è la stessa cosa. Zoomma su alcuni dettagli con la mano del tecnico che al microscopio ribalta la diagnosi e dà un nome diverso alla malattia scatenatasi in quel frammento di paradiso.
Il video, anzitutto. Tre minuti in cui la videocamera dei carabinieri indugia sul letto del massacro, sul pavimento, sul muro e insegue la bizzarra traiettoria degli schizzi di sangue. «È sempre stato detto ­ nota Taormina ­ che non esiste nulla che dimostri la situazione dal punto di vista dell’imbrattamento del pavimento. Stranamente, e improvvisamente, qualche giorno fa è uscito fuori questo documento. L’abbiamo cercato per tanto tempo, non solo noi della difesa, ma anche i pm di Aosta. Finalmente è a disposizione di tutti e quindi sarà la base di nuovi accertamenti che già domani solleciteremo alla corte». Perché quel filmato-mappa svelerebbe che il killer non era inginocchiato sul letto, ma in piedi, accanto al letto. E non indossava gli ormai famigerati pantaloni del pigiama, presunto asso dell’accusa. Il video e poi, in un domino alla Perry Mason, due ulteriori dvd e altrettanti vhs. E poi l’analisi retrospettiva delle sensazioni e dei sentimenti manifestati dall’imputata nei minuti in cui la scena del delitto si riempì, pure troppo, di investigatori. Annamaria era davvero così fredda come la descrive Gramola nel verdetto? «Quando chiamò il 118 ­ risponde Taormina ­ era sconvolta, sotto choc, in stato di follia e completamente turbata. Chiederemo di acquisire la registrazione di quella telefonata». Si ricomincia.

Ma con ogni probabilità si andrà in stallo per un mese, fino alla metà di dicembre, quando arriveranno le perizie di un altro gomitolo aggrovigliato, quello della cosiddetta inchiesta Cogne bis: in sintesi le prove che la difesa avrebbe alterato, taroccato o inventato, giocando al depistaggio nella villetta di Montroz. Alle 9.30 il presidente Romano Pettenati darà il via. Poi la prudenza dovrebbe suggerirgli un rinvio al 2006. Per stemperare gli animi.

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