Mani Pulite, Ilda la Rossa lascia Milano

L'ultimo dei pm "intoccabili" lascia il palazzo di giustizia che fece cadere la prima Repubblica. Dopo aver perso la corsa per dirigere la procura lombarda andrà a guidare quella di Verona

Mani Pulite, Ilda la Rossa lascia Milano

Milano - In prima linea era rimasta solo lei. Ora Ilda Boccassini lascerà la trincea di Porta Vittoria: il Csm l’ha proposta, a maggioranza, alla guida della procura di Verona. L’iter non è ancora concluso, ma a breve il Pm che ha indagato su Previti e i giudici di Roma dovrebbe smobilitare. E così, si chiuderà definitivamente quell’esperienza chiamata Pool Mani pulite.

Concetto dai confini cronologici un po’ vaghi e però riassuntivo di una forza spartiacque: il Pool portò a galla una rete di corruzione diffusissima e smontò la prima Repubblica. Ci furono anche le manette facili, le polemiche velenose, i suicidi dolorosi. Certo quel gruppo fluttuante, soprattutto nel primo periodo ’92-94, ovvero dall’arresto di Mario Chiesa all’abbandono di Antonio Di Pietro, diventò uno dei crocevia del potere e un punto privilegiato per capire l’Italia.

Oggi gli Intoccabili, come quei magistrati erano stati ribattezzati dai fan cinefili, hanno preso strade diverse. Uno alla volta hanno abbandonato la toga, in una lenta diaspora, e i critici, con sguardo malizioso, possono sostenere che si è in parte realizzata quella saldatura fra politica e giustizia intravista dietro gli avvisi di garanzia recapitati a pacchi ai Craxi, ai Forlani e poi ai Berlusconi. Di Pietro ha un suo partitino, l’Italia dei Valori che già nel nome rimanda alle tavole di Mani pulite; Gherardo Colombo, sempre più inquieto, sempre più disilluso eppure sempre più idealista, giusto un anno fa ha chiuso con la magistratura, è diventato vicepresidente della Garzanti, scrive saggi e prosegue la sua missione legalitaria girando come una trottola per le scuole; Piercamillo Davigo, l’intellettuale e il teorico del Pool, è più giudice che mai, ma si muove negli ambienti rarefatti della Cassazione e a chi gli chiede un giudizio su quella stagione ormai lontana risponde così: «Per la prima volta svelammo l’Italia delle tangenti, purtroppo però l’occasione per modificare la situazione in profondità è andata perduta».

Si vedono e si sentono poco gli ex. Per fortuna hanno superato l’inevitabile fase del reducismo. Ogni tanto Di Pietro si siede a Palazzo Madama sul banco del Governo e ascolta compunto gli interventi del senatore Pd Gerardo D’Ambrosio, il coordinatore storico del Pool, pure approdato alla politica dopo aver raggiunto la pensione: «Quando finisco - racconta divertito D’Ambrosio - si alza, mi stringe la mano, mi abbraccia e poi se ne va». I due si incontreranno anche nella prossima legislatura: le loro sono candidature forti, blindate, la loro seconda vita va avanti.

Come continua quella di Francesco Saverio Borrelli, il Procuratore che trasformò il Pool in un ariete formidabile. Era finito in naftalina, ma poi Guido Rossi l’aveva chiamato al capezzale del calcio malato. L’anno scorso la sua natura romantica e passionale, chissà come fusa con quella lucida e razionale, ha finalmente vinto con la nomina a Presidente del Conservatorio di Milano. In prima linea - dopo il trasloco di Paolo Ielo all’ufficio gip - restavano Ilda Boccassini e Francesco Greco, l’esperto di reati finanziari con la barba bianca da lupo di mare finalmente sfoltita.

Ma qualche mese fa il Csm ha nominato lui Procuratore aggiunto e lei, che pure era in corsa, si è dimessa per protesta dall’Associazione nazionale magistrati, stracciando con la tessera anche i ricordi. Ora pure la Boccassini riceverà i gradi. E il Pool può essere raccontato al passato.

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