Mantovano: "Per alcuni pm spiare è abitudine"

Il sottosegretario all’Interno sulla vicenda dei vertici del Giornale ascoltati al telefono: "L’abuso di intercettazioni esiste e chi vìola costantemente la legge non è mai stato punito". Sui nastri evocati dall’Annunziata in tv: "Intervenga la Procura". Avvisi flop e ministri rovinati: scandali da inchiesta

Mantovano: "Per alcuni pm spiare è abitudine"

Roma - «Io non conosco la vicenda, l’unica fonte d’informazione è l’articolo uscito sul Giornale, anche se il tono del direttore Sallusti non lascia adito a dubbi. Auspico che alla denuncia mediatica segua la denuncia nelle sedi competenti perché ci sia tutto l’approfondimento che richiede una vicenda che, se riscontrata, sarebbe di una gravità notevole». Il sottosegretario all’Interno ed ex magistrato Alfredo Mantovano appare allarmato ma non sorpreso dalla denuncia fatta ieri su queste colonne da Alessandro Sallusti: la notizia che direttori e vice del nostro quotidiano abbiano i telefoni sotto controllo infatti «si inserisce in un filone di violazioni di legge che è consolidato».

Mantovano, sta dicendo che è uso da parte della magistratura «spiare» il quarto potere, soprattutto se scomodo?
«Sto dicendo che, prescindendo dal caso specifico, l’abuso di intercettazioni c’è è non c’è mai stata una significativa sanzione nei confronti di chi l’ha posto in essere. Tutti ricordiamo per esempio l’assoluto spreco di questo strumento di indagine da parte di un singolo magistrato che era incardinato nella procura di Potenza. Risorse adoperate, uomini impiegati, disagio procurato nei soggetti intercettati per una resa processuale che è una sequela di archiviazioni e di proscioglimenti. E tutto questo non ha avuto nessun seguito sanzionatorio. Si sta ripetendo quanto accadeva fino a dieci anni fa con i pentiti, vale a dire uno strumento di indagine valido quando è adoperato con le giuste cautele e nella piena osservanza della legge, trasformato dai Pm nell’esclusivo strumento per costruire un’indagine e poi un processo. Con gravi danni in termini di perdita delle garanzie personali e di fallimento delle indagini».

Non c’è anche il rischio più grave che i magistrati influenzino il dibattito politico?
«Di più. Questa possibilità di iniziativa dei magistrati anche oltre i limiti previsti dalle norme, oltre a impedire quell’equilibrio tra autorità giudiziaria e polizia giudiziaria che non è solo formale, si traduce comunque in una forma di indebito condizionamento dell’attività e della funzionalità di altri poteri e anche del governo. Proprio sul Giornale mesi fa ho fatto qualche riflessione sull’indagine avviata dalla procura di Siracusa nei confronti di ufficiali e alti dirigenti del nostro sistema di sicurezza per la collaborazione con le attività libiche nelle attività di riconsegna dei clandestini. Quei nostri funzionari oggi si trovano citati in giudizio davanti all’autorità giudiziaria di Siracusa per violenza privata e tutto questo nell’esercizio di un’attività prevista da trattati internazionali e in piena applicazione delle norme. È evidente che l’attività giudiziaria punta a condizionare una scelta del governo peraltro totalmente conforme ad accordi internazionali».

Torniamo ai giornalisti spiati. Non le sembra che la posizione di quotidiani come il nostro, protagonisti di inchieste che certo non piacciono a tutti, sia particolarmente esposta?
«Se un pm intende utilizzare in modo distorto un tipo di accertamento giudiziale per raggiungere obiettivi di condizionamento dell’attività del governo, lo farà a prescindere dalle vostre inchieste giornalistiche. Semmai, come dimostra il caso Belpietro, temo che possiate diventare possibili bersagli di gesti di soggetti che si fanno facilmente suggestionare da questa teoria del complotto, della mistificazione, del fango e così via».

A proposito di fango, Lucia Annunziata domenica nel suo programma prima ha parlato di «macchina del fango» riferendosi a noi e ad altri giornali, poi ha avvalorato questa sua tesi citando una fantomatica intercettazione da lei ascoltata con un tono da avvertimento mafioso.
«La Annunziata sostiene un’accusa di dossieraggio con il ricevimento di qualcosa che, per le modalità con le quali viene presentata in pubblico, non appare certamente conforme alle regole».

A dir poco paradossale...
«Già, ma il fatto è che quanto detto da Lucia Annunziata nel suo programma domenica dovrebbe attirare l’attenzione dell’autorità giudiziaria. Il magistrato competente deve convocarla e dirle: scusi, poiché sulla base di quello che lei ha detto vi è la concreta ipotesi che ci si trovi di fronte a una conversazione telefonica intercettata, e se lei non ne ha parlato vuol dire che non era pubblica, allora mi dice come, dove e chi? Perché siamo in presenza di un reato di cui non so quanto consapevolmente la Annunziata ha fatto da cassa di risonanza attraverso un media particolarmente seguito. E questo sarebbe un segnale di normalità. Lo strabiliante è che sia nel codice di procedura penale sia in altre disposizioni la tutela della riservatezza, la sanzione all’ipotesi di violazione esistono, non è che bisogna inventarle. Ma manca l’applicazione concreta di queste regole in virtù perché magistrati e giornalisti si sostengono a vicenda».

E in tutto ciò, l’Associazione nazionale magistrati che cosa fa?
«Personalmente non amo gli strali contro i magistrati.

Ma è possibile che ogni qualvolta la Anm prende posizione in pubblico lo faccia sempre ed esclusivamente nella direzione di censurare chi solleva dubbi su certe pratiche e non c’è mai stato, nemmeno a distanza di tempo, un invito all’autocritica o alla riflessione interna sulla divulgazione di notizie riservate o sull’uso largo delle intercettazioni? L’Anm dovrebbe essere un interlocutore rispettabile per qualsiasi governo, ma con questo modo di fare sempre parziale e sempre schierato anche di fronti a palesi anomalie si mostra priva di un minimo di credibilità».

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