La marcia su Washington del popolo anti Obama «Basta con le sue tasse»

Washington Il 28 agosto del 1963, sui gradini del Lincoln Memorial, davanti a 250mila persone accorse a Washington per ascoltare l’eroe del movimento per i diritti civili, Martin Luther King aveva gridato: «Io ho un sogno», in un discorso che sarebbe passato alla storia.
Oggi, gli occhi di tutta l’America torneranno a puntarsi su quel monumento dove Glenn Beck, presentatore televisivo di Fox News - bianco e conservatore - ha organizzato una nuova marcia, anticipata da proteste e minacce. «Beck osa dissacrare la memoria di King», dicono i portavoce della lobby democratica nera. «King ci appartiene», fanno coro i militanti delle Pantere nere. «No, King non appartiene soltanto ai neri, così come i bianchi non hanno il monopolio dei Padri fondatori o di Abramo Lincoln - ha risposto Beck - non vengo a mettermi a confronto con l’eroe del movimento civile. Ho scelto quella data senza ricordarmi che si trattasse dell’anniversario di King, ma siccome credo nella divina provvidenza so che c’è un grande significato nella mia scelta».
Più di mille pullman hanno già prenotato i parcheggi della zona e le autorità aspettano una folla enorme. Beck aveva già promosso una marcia su Washington contro la riforma sanitaria nel 2009. L’evento aveva dato visibilità al movimento dei Tea Party, che dà oggi voce alla contestazione contro il neostatalismo del presidente Barack Obama. Promuove un messaggio caro a molti americani: un ritorno ai valori della vecchia America, quella dei Padri Fondatori.
Le minacce di morte contro Beck sono ormai all’ordine del giorno, ma una maggioranza silenziosa è pronta a votare contro i democratici nelle elezioni di medio termine per fermare la politica economica della «ridistribuzione» spinta da Obama, i cui indici d’approvazione sembrano adesso imitare quelli di un altro disastroso presidente: Jimmy Carter.
Per i suoi detrattori, l’Amministrazione Obama è rimasta troppo a lungo sorda alle proteste di questa maggioranza silenziosa, che ha trovato in Beck un portavoce.
Accanto a lui, oggi, ci sono anche Sarah Palin, Michelle Bachman, Rand Paul, in occasione della manifestazione Restoring Honor: in onore degli eroi delle forze armate. «Non veniamo a Washington a far politica, ma a onorare i nostri soldati», ha spiegato Beck, mentre la lobby liberal dei neri ha annunciato di voler tenere un altra manifestazione, in memoria del reverendo King, che aveva detto che i neri erano ancora paralizzati dalle catene della segregazione. Eppure, 37 anni dopo, il primo presidente nero siede alla Casa Bianca. L’America che King sognava è arrivata, grazie a un leader che offriva «speranza». Anzi, l’«audacia di una speranza» che adesso però molti americani cercano e non trovano: a causa della recessione, di contestate leggi sulla sanità, del debito nazionale, dell’immigrazione illegale che ha trasformato il confine con il Messico in un campo di battaglia, del feroce dibattito sulla costruzione della moschea vicino a Ground Zero.
Religione e politica si stanno mescolando, creando una miscela esplosiva. E Glenn Beck, a metà tra giornalista e predicatore, pur difendendo la libertà di religione promessa a chiunque dai Padri fondatori, parla al cuore della maggioranza cristiana. Non c’è puntata del suo show televisivo in cui non chieda agli ascoltatori di «alzare gli occhi al cielo e di chiedere a Dio di aiutare l’America. Credo che questa manifestazione passerà alla storia come l’anti Woodstock. Un giorno, chi parteciperà sarà fiero di essere stato sui gradini del memoriale».
«Non venite a Washington con manifesti e bandiere, ma con le preghiere», ha aggiunto - e con l’aiuto di Dio, accenderemo in questa nazione una nuova fiamma che nessuno riuscirà più a spegnere». La protesta prevede sorprese: Beck ha annunciato di aver preparato «qualcosa che non è stata fatto da 240 anni». Probabilmente, una cerimonia che ha a che fare con la nascita degli Stati Uniti.
«Siamo nel mezzo di una rivoluzione - ha detto - Che vi piaccia o no. Chi vincerà? Chi rimarrà fedele alla Costituzione o chi crede che sia da gettar via?». Lui difende la Carta fondamentale con attacchi mirati ai progressisti, occupandosi della crescita del Tea Party.
Secondo un sondaggio del quotidiano Usa Today, i sostenitori del movimento sono ormai un americano su tre. Nonostante questo, però, alle urne in vista delle elezioni di midterm, i candidati appoggiati dal movimento non riescono a decollare. Diversi, infatti, sono stati sconfitti alle primarie repubblicane. La stampa progressista descrive i membri dei Tea Party come un patchwork di persone prevalentemente bianche e razziste. I sostenitori dei Tea Party si sentono cittadini intolleranti verso il controllo del governo centrale e credono che gli Stati Uniti siano arrivati a una svolta storica. L’agenda ambiziosa di Barack Obama non piace, ma secondo un sondaggio del Washington Post, sei elettori su dieci in America non credono che il presidente democratico sappia prendere le decisioni giuste per il Paese.

«La magia del 2008 non può essere ricreata - ha scritto Fouad Ajami, professore della John Hopkins, sul Wall Street Journal - C’è un profondo senso d’imbarazzo nel constatare che una grande maggioranza si è fatta incantare dalle promesse di un falso redentore».

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