Canta che ti canta linno dellodio ha fatto centro, ha ucciso il simbolo del proprio rancore, ha ispirato, sobillato, innescato lassassinio di Eugene TerreBlanche, il 69enne leader segregazionista bianco considerato lultima icona dellapartheid. Lui, vero fossile del razzismo, quel destino se lo portava scritto in un nomen-omen che nellantico gergo francofono della sua progenie ugonotta significava non solo terra, ma anche cuore bianco.
Ma quel destino di sangue era scolpito anche nella storia personale di un uomo diventato personaggio propagandando ostilità, odio e violenza razziale. Era lultimo a sognare una Repubblica degli Afrikaaner. Era lultimo a chiamare alla resistenza i boeri. Era lultimo - anche dopo i tre anni passati in galera per aver bastonato un nero - a non rinnegare lignominia dello sviluppo separato. Era uno degli ultimi a urlare «dite quel che volete, ma per me noi bianchi e loro neri restiamo diversi, troppo diversi per convivere». Non per questo meritava di venir massacrato nel sonno a colpi di machete e spranga da due dipendenti neri decisi a vendicare vecchi maltrattamenti uniti al recente rifiuto di un compenso concordato. Comunque sia quellassassinio era nellaria, fluttuava sommesso tra le note di Dubula Ibhunu, ovvero Spara al Boero, linno della lotta allapartheid resuscitato da Julius Malema, il 29enne spregiudicato boss dellala giovanile dellAfrican national congress.
Per Julius e compagni quella canzone, messa al bando poche ore prima delluccisione di TerreBlanche da una sentenza dellAlta corte sudafricana non è unistigazione allodio. A sentir loro è solo un sentimentale ritorno alle origini, un orgoglioso ricordo degli anni di lotta anti apartheid. Dietro a quelle precisazioni eleganti e politicamente corrette cui si nasconde però lorrore della mattanza dei farmer bianchi. Le cifre sono quelle di una vera guerra. Nellultimo anno i plaasmord, gli assassini di fattoria come li chiamano i boeri, sono costati la vita a 120 allevatori e coltivatori bianchi. Il totale delle croci piantate nei 16 anni trascorsi dalla fine dellapartheid ad oggi supera invece quota tremila. Ma a gettare altra benzina sul fuoco della rinata contrapposizione razziale contribuiscono le recenti dichiarazioni di Malema e degli altri giovani leoni dellAfrica national congress, portabandiera di una campagna per lesproprio e la nazionalizzazione di tutte le proprietà degli ultimi 40mila coltivatori bianchi.
Difficile, in questo clima, che i due assassini abbiano deciso dimpeto. La decisione di afferrare machete e tubi di ferro, dintrodursi nella camera da letto della fattoria alle porte di Ventersdorp e di sfracellare il cranio dellodiato Eugene TerreBlanche sembra figlia non della rabbia per i soprusi, ma dellincitazione alla violenza propagata dai cori di Malema e compagni. Sembra la naturale conseguenza del clima dodio disseminato da chi sogna lesproprio degli antichi padroni. Appare come il naturale corollario del clima dimpunità generato dallinerzia di un governo che non muove un dito per fermare i plaasmoorde e arrestarne i colpevoli. In tutto questo il cadavere sfigurato ed eccellente di TerreBlanche, pronipote dun ugonotto di Tolone approdato nel 1704 nelle terre del Capo, rischia di trasformarsi in una reliquia fatale capace di trascinarsi nella tomba le ultime illusioni di riconciliazione e convivenza. I leader e i militanti dellAwb, il Partito della resistenza Afrikaaner da lui fondato, negano in queste ore di voler vendetta, respingono a parole qualsiasi ipotesi di reazione violenta.
Ma per Eugene, per lex poliziotto dei servizi speciali che nei ruggenti anni Ottanta e Novanta guidava le loro parate in groppa a uno stallone nero battezzato Attila, per il profeta del segregazionismo pronto a esibire come simbolo del proprio partito una sorta di croce uncinata inserita in una bandiera con i colori nazisti questo potrebbe esser il modo migliore per uscir di scena. Una piroetta nelloltretomba - alla vigilia della prova del fuoco dei mondiali di calcio - per trasformarsi nelleterno irriducibile fantasma di un passato che non molla.
Intanto, nonostante linvito del presidente Jacob Zuma alla calma, gli investitori stranieri cominciano a preoccuparsi. Temono che il Sudafrica precipiti nel caos razziale e possa fare la fine del vicino Zimbabwe.
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