MASSIMO LOPEZ Romeo e Giulietta vent’anni dopo

Igor Principe

A volte basta un niente perché le cose seguano un altro corso. Anche solo svegliarsi un attimo prima del dovuto. È quello che capita a Giulietta Capuleti, destatasi un secondo prima che l'amato Romeo Montecchi si avvelenasse, siglando così uno dei finali più noti della storia del teatro. La donna lo ferma, e l'amore sboccia.
Da questo escamotage si sviluppa Oh Romeo, farsa con musica in scena al teatro San Babila da martedì 5. La regia è di Giorgio Lopez, che ha adattato per la scena italiana un celebre testo di Ephraim Kishon, How now Juliet. A dargli una mano, il protagonista: anche lui Lopez, ma di nome Massimo.
Un Romeo con i baffi?
«No, no. Io sono William Shakespeare».
Scusi, ma cosa ci fa l'autore sulla scena?
«Cerca di riportare la coppia sulla retta via, quella scritta da lui».
Cioè il suicidio?
«Non esageriamo. Shakespeare intende ridare a quel rapporto l'aura poetica di un tempo. Dopo vent'anni di convivenza, Romeo e Giulietta sono intrappolati nella routine: lui pensa solo a mangiare, lei si lamenta perché il forno non funziona o perché non ha la lavastoviglie. Insomma, non si sopportano più. Così l'autore abbandona la tomba per ridare poesia alla vicenda».
Inutile chiederle se ce la farà...
«Anche perché non glielo direi. Ma posso aggiungere che ci saranno interessanti sviluppi con la figlia dei due amanti veronesi».
Una tresca?
«Non diciamo altro».
Sveliamo allora perché ha scelto di interpretare questo lavoro.
«Perché Kishon pratica un umorismo che è nelle mie corde. Di lui avevo già letto un libro, Arca di Noè: classe turistica, e mi era piaciuto molto. Quanto al testo teatrale, mi trovo molto a mio agio con i ritmi e le situazioni della farsa, dove c'è qualche mio piccolo adattamento: la presenza degli elettrodomestici, la figlia che parla al cellulare».
Sembra che lei ce l'abbia con i classici della letteratura: con il trio ha riletto per la tv, sempre in chiave farsesca, i Promessi Sposi; adesso Shakespeare. Che le hanno fatto?
«Niente, per carità! È che mi diverte l'idea di parodiare, alleggerendole, opere percepite come mattoni. L'amore aulico tra Romeo e Giulietta, in particolare, si presta a un gioco: lasciare che lo spettatore decida, tra il suicidio e la convivenza, quale sia la vera tragedia».
Non teme di passare per irriverente?
«No. Al contrario, penso che spettacoli come questo avvicinino al teatro chi di solito lo evita. I giovani, soprattutto, credono che sul palco si celebri un rito complicato e un po' pesante, destinato a pochi. È giusto mostrare che anche i classici possono divertire. E chissà che dopo non venga voglia di leggere gli originali».


C'è molto teatro nelle sue esperienze più recenti: due anni fa La strana coppia con Tullio Solenghi, l'anno scorso un one-man-show dedicato a Frank Sinatra...
«Per me il teatro è come una cuccia. Un luogo che mi appartiene, avendo cominciato la carriera con lo Stabile di Genova, e che rimarrà sempre un riferimento sicuro».

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