Voli lunghissimi nel freddo più assoluto. Cieli bui solcati dalle sciabolate di luce dei riflettori e poi, d'improvviso, il martellare cupo dei cannoni da 88 e 105 millimetri della Flak, la contraerea tedesca. Le esplosioni trasformano il cielo in una distesa di schegge mortali. Ma il silenzio che arriva dopo è anche peggio. La Flak tace quando arrivano i caccia che braccano i bombardieri come un branco di lupi farebbe con un gregge di pecore. Per difendersi i lenti e grossi B-17 si schierano vicini vicini, creano una combat box che vomita disperatamente proiettili in tutte le direzioni dalle mitragliatrici di bordo. Questa è l'esistenza infernale che i piloti alleati conducevano per portare i loro ordigni di morte sopra le città tedesche. Un volo dopo l'altro, vedendo cadere gli altri apparecchi, contando le missioni che li separavano dal rientro in patria. E sì, anche con la coscienza che le loro bombe trasformavano le città tedesche in enormi roghi, dove a morire erano anche i civili innocenti, e gli stessi prigionieri alleati, sequestrati dalla follia nazista.
Sono proprio queste vite al limite ad essere raccontate dalla nuova serie ora atterrata su Apple Tv+: Masters of the Air. Prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, è il terzo capitolo di una trilogia ideale iniziata con Band of Brothers e The Pacific, un omaggio ai combattenti americani della Seconda guerra mondiale. Questo terzo progetto è il primo ad uscire nell'epoca dello streaming, vanta un budget di produzione di 300 milioni di dollari, un cast esorbitante che include Austin Butler, Barry Keoghan e Callum Turner e un team di registi guidato da Cary Fukunaga, l'autore della prima (amatissima) stagione di True Detective, che ha diretto i primi quattro episodi di Masters of the Air.
Veniamo alla trama che segue le vicende del 100th Bombardment Group, diventato famoso durante la guerra come «Bloody 100th» proprio a causa delle ingenti perdite subite nelle missioni di combattimento dai suoi equipaggi di B-17. La serie è improntata su una narrazione lineare e rimanda in molti passaggi a due grandi classici del genere come il film Memphis Belle e il più recente Red Tails. Si apre con l'introduzione di una manciata di personaggi con tutte le caratteristiche dell'aviatore eroico. Tra tutti spiccano i due leader del gruppo, Buck (Austin Butler) e Bucky (Callum Turner). Il primo è idealista e romantico, il secondo il classico pilota rubacuori che se ne infischia delle regole. Che poi Austin Butler/Buck sia una sorta di clone di Val Kilmer/Iceman del molto più cialtrone Top Gun, non guasta la narrazione.
Per il resto che dire: la ricostruzione della dinamica delle missioni, delle caratteristiche degli apparecchi, delle difficoltà dei navigatori costretti ad orientarsi tra le nuvole navigando a mano con la cartina, della violenza e rapidità dei combattimenti è praticamente perfetta. I patiti del genere troveranno ben poco da obiettare.
La cosa resa meglio è l'alternanza dello stress in volo con la noia o la gioiosa esuberanza dei momenti a terra. È sempre esistita una sorta di doppia vita attorno ai campi di aviazione. Combattenti specializzati, vezzeggiati dai comandi molto più degli umili fanti, gli aviatori hanno sempre vissuto in una sorta di bolla eroica. Ogni ritorno a terra una festa. Una continua oscillazione tra l'inferno in cielo - spesso sui B-17 si rischiava di bruciare vivi mentre l'aereo precipitava in fiamme - e il piccolo paradiso in terra dei villaggi inglesi dove gli aviatori diventavano angeli caduti per le pupe del luogo. La gioia disperata, il mal d'aria, il cameratismo, il gelo asfittico della postazione del mitragliere di coda: la serie racconta bene quasi tutto.
Riesce bene anche nel suo essere una storia corale dove, forse, l'unico limite è dato dal fatto che il numero altissimo di personaggi rende difficile per lo spettatore creare un'empatia con uno in particolare. Buona idea anche quella di raccontare il lato a terra nelle zone bombardate grazie agli aviatori precipitati e prigionieri dei tedeschi. Insomma, per trovare un paragone con questa serie bisogna tornare ad un gioiello assoluto come La squadriglia delle pecore nere prodotta da Donald P.
Bellisario negli anni '70. Ma Masters of the Air ha tutti i vantaggi dei budget e della tecnologia del XXI secolo. Il risultato è una narrazione strepitosa, parte del merito è del cast stellare, anche se non innovativa negli stilemi narrativi.
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