Tra matrimoni d’interesse e falsa pietà

Marcello D’Orta

Sempre più spesso mi capita di incrociare per strada connazionali di una certa età (una «certa età», per me, è dai cinquanta in su; dunque il sottoscritto ha una certa età da tre anni) mano nella mano ad ucraine, russe, moldave, rumene, polacche o giù di lì. Queste ucraine, russe, moldave, rumene, polacche o giù di lì sono molto più giovani dei loro, diciamo così, fidanzati italiani; hanno trenta, quaranta, al massimo cinquant'anni, ma ne ho viste anche di giovanissime (potevano cantare «Non ho l'età») abbracciate a settantenni (potevano cantare «Amarti, e poi morire», sempre della Cinquetti). Che si tratti di ucraine, russe, moldave, rumene, polacche o giù di lì, non c'è dubbio; la maggior parte di loro sono bionde (o false bionde), di un biondo accecante e volgare, scoprono (almeno) un dente d'oro in bocca, vestono con abiti sgargianti, hanno la testa piantata su un corpo massiccio e lasciano una scia di profumo asfissiante.
I nostri uomini credono di averle conquistate col fascino latino e invece sono loro ad averci conquistati: una collaboratrice domestica di un Paese straniero non comunitario che sposa il proprio datore di lavoro non può essere allontanata dall'Italia, anche se viene a scadere il permesso di soggiorno. Non solo: la legislazione consente il ricongiungimento familiare, il che significa che la donna può far entrare nel nostro Paese figli minorenni lasciati nella sua nazione di origine.
Sono piani strategici degni di Cesare.
Noi, queste cose, le sappiamo pure, ma il fascino della «straniera» è più forte. E poi uno passa sopra a tutto se a cinquanta o sessant'anni è baciato sulle labbra da una ventenne e se questa ventenne si infila nelle nostre (anche nelle nostre) lenzuola.
Qualche tempo fa, il direttore della banca dove ho depositato i miei trenta milioni di euro, mi raccontò questo fatto. S'era presentato da lui un cliente di circa novant'anni, assieme a una bionda, di chiare origini straniere. L'uomo voleva aprire un conto corrente a nome della signorina, trasferendovi tutto il suo capitale (più che considerevole); con il pretesto di andare a prendere i moduli per il versamento, il direttore aveva telefonato ai figli di quel signore, avvisandoli di quel che stava accadendo: «Non sono fatti miei - aveva premesso - ma certe cose non posso tenerle dentro: vostro padre sta per commettere una sciocchezza... Siete ancora a tempo a correre in banca».
Di «mariti italiani» che perdono la testa (e il portafoglio) per badanti, infermiere, baby-sitter dell'Est è piena la cronaca. A Terni, per esempio, il numero delle pratiche per il divorzio da «mogli italiane» è in vertiginoso aumento. E ci sono anche molti casi «di mogli settantenni disperate che si sono rivolte ai nostri uffici per chiederci aiuto, perché le badanti fanno un sorriso di troppo ai mariti» (dichiarazione di un dirigente dell'ufficio immigrazione della Questura di Terni).
Intendiamoci: da qui a sostenere la tesi di Umberto Bossi, secondo cui, in Italia, è calata «un'orda di puttane», ce ne corre.

Ci sono migliaia di collaboratrici domestiche che fanno il proprio dovere, sudano non sette ma settemila camicie, menano una vita di sacrifici e con la loro amorevole assistenza a malati si guadagnano il Paradiso.
Io dico solo questo: attenzione, italiane, da badanti a mogli o amanti, il passo è (sempre) più breve.
mardorta@libero.it

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