Amarsi e onorarsi nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. D'accordo. Ma se la malattia, o meglio la calamità, si chiama mamma? Da declinarsi, poi, nella categoria più terrificante, e cioè quella della suocera? Tutto si fa dannatamente più difficile, e il matrimonio assume i contorni di una fatica di Sisifo.
La butta sul ridere Diego Ruiz, autore, regista e interprete di Finché mamma non ci separi, in cartellone al Teatro Derby da questa sera a domenica 1 marzo, appellandosi alle armi della commedia brillante e a una sana dose di umorismo sofisticato. La pièce - reduce da un ottimo successo a Roma - porta sulla scena la storia di una giovane coppia calata in una cornice, sulle prime, fiabesca: un appartamento incastonato tra i monti, la neve fuori, il calore degli affetti dentro. E una buona notizia: lui e lei (Diego Ruiz e Francesca Nunzi) stanno diventando genitori.
L'idillio, però, è destinato ad andare in pezzi all'irrompere di ben due suocere (Pier Paola Bucchi e Luciana Frazzetto). Diverse per aspetto, gusti e censo, ma entrambe determinate a continuare a «fare le mamme», le battagliere suocere persistono nell'emanare ordini e disposizioni, naturalmente «per il bene» dei loro figli. Il risultato è il caos: un circo di nevrosi al centro del quale si ritrova, più disarmato di tutti, quel poveretto di uomo. «Finché mamma non ci separi è solo l'ultimo capitolo di una serie di commedie che ho scritto sul rapporto di coppia - spiega Diego Ruiz -. Dopo Orgasmo e pregiudizi, Il matrimonio può attendere e Ti amo o qualcosa del genere, ho pensato di spostare l'attenzione verso gli elementi esterni, di natura umana, che condizionano la vita di una giovane coppia. Tra le cose più avvincenti della storia il confronto titanico tra le due suocere: una alto-borghese, un po' cinica e fredda; l'altra ex ragazza madre, spontanea e un po' caciarona, che si veste leopardata e cerca di rimanere giovane fuori tempo massimo. Entrambe dimostrano che il troppo distacco o la troppa attenzione possono creare scompensi nei figli».
Le vittime del loro scontro però, alla fine, risultano non del tutto innocenti: «Sono consenzienti. Vogliono continuare a sentirsi figli, anche loro, pur essendo sul punto di trasformarsi in genitori. La situazione di scontro che si crea nella casa fa emergere un sacco di cose non dette: e così, i piccoli e grandi difetti reciproci, che venivano minimizzati per amore, sotto stress esplodono in modo virulento».
Un testo ironico dall'esito comunque ottimista ma che non risparmia qualche stoccata caustica sulle piccole miserie di coppia: «Ho notato con piacere che il pubblico si rispecchia divertito nella storia, nella quale convivono un linguaggio immediato e popolare, e un'ironia sottile», chiosa Ruiz.
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