Il matrimonio è proprio un delitto

La commedia di Schmitt porta in scena problemi comuni

Igor Principe

Un infortunio domestico. Niente di apoplettico, ma neanche una cosa da sottovalutare, trattandosi di un colpo alla testa capace di spegnerne la memoria.
La testa è quella di Gilles, marito di Lisa e con lei protagonista di Piccoli crimini coniugali, in scena al teatro Grassi dal 10 al 20 gennaio. Priva dei ricordi di una vita, quindici anni della quale spesa in un matrimonio dall'immagine intonsa, quella testa riprende a girare sotto la guida della moglie. Per scoprire, illuminando anche lei, che dietro quell'immagine si nasconde un rapporto fatto di estraneità e incomprensioni.
«È una commedia con un risvolto amaro, in cui ci si identifica perché in fondo si tratta di problemi comuni», dice Massimo Venturiello, che interpreta il ruolo di Gilles. «Non intendo dire che tutte le coppie abbiano i problemi del mio personaggio e di Lisa - prosegue -, ma che è comune tra due persone il continuo rincorrersi. Ciascuno è parte di mondi diversi quali sono quello maschile e quello femminile. Trovare un punto di incontro è difficile, quando non impossibile. Schmitt (Eric E. Schmitt, autore del testo, ndr) lo ha capito, e ha pensato un finale aperto, in cui non è chiaro come vada a finire tra Lisa e Gilles».
Diretta da Renzo Fantoni e prodotta da La Contemporanea 83 e dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, Piccoli crimini coniugali è un lavoro che restituisce al teatro la sua natura di specchio in cui riflettere i caratteri della società. In questo caso, più che mai contemporanea. «Schmitt è un attentissimo osservatore delle relazioni sociali, autore davanti al quale è spontaneo dire "ce ne fossero!" - commenta Venturiello -. Non si scrive addosso, e in questo lavoro non solo riesce a costruire un vero e proprio giallo con una trama fatta di colpi di scena e sorprese, ma tratta il rapporto di coppia con un'esperienza tale che davvero chiunque può riconoscersi in certe situazioni».
«Lo credo anch'io, anche se non sono sicura di poter parlare di un'intera società che si ritrova in quelle dinamiche. Certo, l'analisi della vita di coppia è spietata». Chi fa eco alle parole di Venturiello è Lisa, ovvero Andreas Jonasson. Cioè un pezzo di storia del Piccolo Teatro.
«Tornare nel teatro di via Rovello, calcare le assi di quel palco, vedere quella platea: è difficile trattenere l'emozione, e anche raccontarla», spiega la vedova di Giorgio Strehler, scomparso il giorno di Natale di otto anni fa. «È sicuramente un ritorno a casa, anche se come ospite - prosegue -, e con un testo che, pur non essendo un Brecht o un classico, è più che valido. Credo che Giorgio si sarebbe divertito. Io ne sono stata colpita già dalla prima lettura, quando mi hanno proposto di metterlo in scena a Berlino. Il progetto è sfumato perché ero impegnata a Vienna, così l'ho proposto per l'Italia».
«Schmitt è un autore di grande fantasia, forse in alcuni passaggi un po' forzato ma sicuramente efficace nel costruire una sequenza di sorprese che tengono sveglia l'attenzione dello spettatore - dice l'attrice -. È un grande drammaturgo contemporaneo, che dimostra come il teatro non sia affatto defunto ma sappia ancora sfornare talenti».
Conclusione ineccepibile, trattandosi di una penna che lavora all'estero. E Jonasson ammette di passare più tempo di là che di qua dalle Alpi, in particolare tra Austria e Germania. Ma quando torna in Italia, come vede la situazione? «Sono sicura che i talenti non manchino, e credo facciano fatica a emergere perché è vero che il teatro italiano è in un momento di difficoltà. All'estero la creatività è più evidente, forse perché c'è più sostegno pubblico. In Italia mi sembra che si scrivano soprattutto monologhi, e che manchino i testi a respiro più ampio».
L'analisi di Jonasson lascia trasparire la tendenza a guardarsi dentro, forse indugiando sul cosiddetto "ombelico", e a non cogliere il respiro della società per criticarlo o encomiarlo. Comunque, per lasciarsene ispirare. «Brecht, davanti all'ascesa di Hitler, diceva che il teatro non sapeva più parlare alla gente "perché tacciono i poeti". Forse i poeti tacciono anche adesso, e al loro posto parlano i comici o il cabaret.

Certo, tacciono i geni: non vedo un Fellini o uno Strehler, oggi. Per cui, quando mi chiedono cosa penso del presente, rispondo che non è come i tempi in cui a Giorgio bastava una scena vuota e una luce messa in modo particolare per fare teatro... ».

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