Sull'antico gonfalone di Zara è apposta una medaglia fantasma. Una medaglia che esiste solo sulla carta perché, per non turbare i rapporti tra Italia e Croazia, non è mai stata consegnata agli esuli e ai loro discendenti. Quella di Zara, infatti, è una onorificenza che brilla per la sua assenza.
Negli ultimi due anni di guerra la città dalmata venne colpita da cinquantaquattro terribili raid, suggeriti da Josip Broz Tito agli Alleati per fiaccare la popolazione italiana. Era la prova generale di ciò che sarebbe successo di lì a poco, con l'esodo e le foibe.
I bombardamenti iniziano il 2 novembre 1943, il giorno dei Morti. Nuovi lutti si aggiungono ai vecchi. Quella sera, infatti, uno squadrone della Raf sorvola la città, sganciando 5,4 tonnellate di bombe. L'obiettivo è il porto, ma qualcosa va storto e gli ordigni colpiscono il centro abitato, provocando 163 morti (di cui 38 bambini) e oltre 260 feriti. È un'ecatombe. I raid proseguono a ondate discontinue. Gli aerei alleati piombano sulla città e mietono vittime. Novembre sta ormai per finire ma il ricordo di quanto successo a inizio mese rappresenta ancora un trauma per gli zaratini. Un'altra pattuglia di aerei inglesi sorvola la città, scaricando a terra trentacinque tonnellate di esplosivo in meno di un chilometro quadrato. L'impatto è devastante. I morti, ancora una volta, sono tanti. Troppi. I numeri ufficiali parlano di più di centocinquanta persone decedute e oltre duecento feriti. Zara è distrutta. Non c'è limite all'orrore. I raid proseguono fino all'ottobre del 1944 e della città rimane ben poco. Gli italiani sono stremati. Chi riesce fugge con quel poco che può portare con sé. I partigiani di Tito sono infatti alle porte; sanno che i bombardamenti hanno spianato la strada e che la resistenza sarà nulla. La città è già conquistata.
Finita la guerra, la ferita di Zara non si rimargina. Anzi: sanguina ancora di più. Non solo perché la città non appartiene più all'Italia, ma anche perché quel sacrificio - di storia, di cultura e soprattutto di vite umane - sembra ormai vano. Eppure c'è chi non vuole dimenticare. Negli anni Settanta, come racconta Paolo Simoncelli in Zara. Due e più facce di una medaglia, il deputato triestino Paolo Barbi chiede al ministro della Difesa, Attilio Ruffini, di concedere un'onorificenza alla città. Le sue parole però cadono nel vuoto. L'Italia non può permettersi di avviare una crisi diplomatica con la Jugoslavia di Tito. Ancora una volta, la politica ha la meglio sugli esuli. Passano gli anni e finalmente, complice anche la morte del dittatore comunista, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro si interessa alla vicenda di Zara, grazie al senatore Lucio Toth. Siamo ormai nel 1993. La macchina della burocrazia è lenta e, nonostante l'impegno costante di Scalfaro, bisogna aspettare quattro anni affinché venga scritto il testo - un vero e proprio trionfo di compromessi per evitare incidenti diplomatici - che conferisce la medaglia d'oro al valor militare a Zara. Sembra ormai fatta, ma la guerra in Kosovo costringe il presidente, ormai al termine del suo settennato, a rimandare la consegna. Sarà Carlo Azeglio Ciampi a concedere, motu proprio, la medaglia d'oro a Zara. Attorno a questa iniziativa del presidente della Repubblica si chiede grande riserbo per non turbare la sua imminente visita in Croazia. Tutto sembra andare per il meglio, ma ecco che - non appena il Quirinale annuncia che il 13 novembre 2001 la medaglia verrà consegnata a Ottavio Missoni, sindaco del Libero comune di Zara in esilio - arrivano le proteste della Croazia. La cerimonia salta. Zagabria attacca. Il Quirinale nicchia. Non si farà nulla. Mai più, nonostante le continue richieste degli esuli.
Sono ormai passati ottant'anni da quei tragici bombardamenti che hanno distrutto Zara e - come ricorda Toni Concina, presidente dell'Associazione dalmati italiani nel mondo - «oggi, Giorno del Ricordo, è auspicabile una decisione sull'annosa questione della medaglia al valore al gonfalone di Zara, segnale di rispetto per le sofferenze patite dalla città e non segnale di antichi risentimenti.
Lo chiedono con forza migliaia di morti e lo chiede con forza lo spirito europeo di questa stagione».Quella medaglia, infatti, rappresenta un riconoscimento per chi è morto nella città martire. È solo una questione di pietas. Nulla di più.
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