Medail, pionere della tv privata e regista del lato oscuro della vita

Muore a 65 anni l'anima di Mediaset. Conduttore affascinato dal mistero, uomo generoso: il grande Lebowski del piccolo schermo

Medail, pionere della tv privata  
e regista del lato oscuro della vita

Con quell’aria lì, con quella faccia che sembrava fatta apposta per stare sotto ad un cappello, apre il suo armadio segreto. Più che seduti, sdraiati in poltrona davanti a lui, Guido Prussia ed il sottoscritto. Guido aveva i suoi simil camperos sul tavolo. Io ero da poco a Mediaset. Da pochissimo. e dunque un po’ più composto. Un contrattino: quello che vale pochi mesi e poi ti buttano via. Ma che a vent’anni è favoloso. E Giorgio, Medail, come veniva chiamato senza tanti fronzoli, tira fuori un Beta. «Ragazzi questa è favolosa», ci racconta. «Se crepo, speriamo che non vada a finire nel riciclo della Cavalleri». La Cavalleri, la Dede, era all’epoca la mitica superboss della produzione Mediaset. Non c’era foglia che si muovesse senza che la Dede non firmasse un’autorizzazione.

E il timore di Medail era che la sua amica Dede ne approfittasse, alla sua eventuale morte, per fare pulizia nell’ufficio pieno zeppo di costosi Beta, che venivano custoditi (privilegio raro) privatamente da Giorgio, e li rimettesse in produzione, facendoli sovraregistrare. Che orrore. Mica c’era uno scoop nel Beta di Medail. Ma certo vederselo cancellato a beneficio di una «preziosa» (così all’epoca chiamavano le raccolte di immagini generiche, sempre buone per confezionare il solito servizio sull’afa o il gelo killer, o sull’esodo e il controesodo) sarebbe stato un peccato. Allunga il Beta a Prussia, che lo infila nella macchina. Nessuno scoop. Certo. Ma poco più di un’ora di un backstage di Moana Pozzi girato da Giorgio. Lei che parla, lei che non si pente, lei che viene diretta, lei che viene...

Vabbè nessuno scoop. Ma quegli occhi di Moana, quella tranquilla freschezza che Medail rubava nella conversazione con una pornostar, era magnifica. Giorgio aveva la grande capacità di immedesimarsi fisicamente con la telecamera. Prendeva i suoi personaggi, i suoi intervistati e li portava in video con la naturalezza di un bambino.
Medail era così. Non ha mai voluto essere ciò che non era. Con lui «you get what you see», uno frase che non avrebbe mai pronunciato, ma che rende bene l’idea del suo modi di essere. È sempre stato il magnifico regista del lato oscuro. Si vestiva di nero, indossava il cappello, aveva la barbetta. E indagava i misteri, la notte. Faceva il lavoro sporco con la dolcezza dell’uomo curioso. Se si fosse drogato, almeno un po’, sarebbe stato simile al Grande Lebowsky. Giorgio sembrava invece piuttosto compiaciuto della sua immunità al vizio, pur avendolo frequentato per mestiere con la stessa assiduità con cui noi frequentiamo il bar sottocasa.
È difficile piangere Medail. Non solo perchè lui non lo avrebbe voluto. Ma soprattutto perché ci avrebbe riso sopra. Era talmente avido di vita da non vedere l’ora di condividerla con chiunque. Serbava però un grande rispetto per la sua fine. Medail è stato Mediaset. Il suo armadio zeppo di Beta, la religiosa delicatezza con cui li custodiva e li trattava, erano il segno più tangibile dell’amore sconfinato che aveva per il suo mestiere. «Pensa a chi ti guarda» diceva sempre, «e pensa un po’ meno al tuo faccione in video» aggiungeva con lo stesso piglio di un artigiano che insegna il saper fare al proprio apprendista.
Medail era soprattutto un inguaribile ottimista. Sequere deum, vai incontro al tuo destino, diceva sempre. Mentre tutto intorno girava storto, lui era là che lottava. Raramente l’ho sentito lamentarsi.

Gli cancellavano programmi, gli chiudevano progetti, e lui sorrideva. Con quel sorriso sotto al cappello. Che anche oggi avrà. Sempre che il Beta di Moana, non sia finito tra i ricicli della ricerca immagine di Palazzo dei Cigni. Speriamo, con Giorgio, di no.

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