Per Meroni scesero in piazza i tifosi

Per Meroni scesero in piazza i tifosi

(...) due anni di splendide giocate al Torino e suscitando, come vedremo, un'autentica sommossa da parte dei tifosi del Grifone che lo adoravano - appartiene a quella ristretta schiera di giocatori che, oltre a saper domare la palla con autentiche magie e ad indirizzarla nel posto giusto, rappresenta qualcosa di più e di nuovo.
Meroni fu infatti un vero e proprio «personaggio», prima che ottimo atleta: un ragazzo che con il suo modo di proporsi e di apparire inusuali (fu il primo giocatore italiano a farsi crescere i capelli alla moda beat e a condurre una vita come diremmo oggi 'controcorrente'), affascinò un'intera generazione, non solo di sportivi. Lariano di sangue, ma cittadino del mondo per mentalità, Gigi Meroni giunse alla corte di Beniamino Santos, timoniere rossoblù, in un periodo in cui l'Italia stava cambiando pelle e con essa anche gli stadi e i tifosi. Si iniziava infatti ad andare a vedere la partita della domenica non più in giacca e cravatta, come in ufficio, ma in maglione e blue jeans; da bravi provinciali si guardava all'Inghilterra come all'Eden, si incominciava a tradire il pur bravo Claudio Villa con i saltellanti e in fondo egualmente romantici Beatles o con i più trasgressivi e duri Rolling Stones. Si iniziava anche a sussurrare di improbabili rivoluzioni sociali, ma più spesso di rivolte ai danni di genitori considerati troppo «matusa».
Bene, in questo contesto di incerta e scomposta transizione ecco entrare sul palcoscenico di Marassi Luigi Ferraris un giovane che, proprio come i Beatles, sapeva però il fatto suo ed era capace di trascinare non a suon di chitarra ma a suon di dribbling l'intera gradinata Nord. Caschetto di capelli neri con taglio a uovo smozzicato, fisico smilzo, nervoso e rapido nelle discese, cervello lucido nello smarcare e nel creare assist. Questo, in sintesi, era Meroni; non certo un marcatore spietato, ma, come Claudio Sala, un giocatore capace di «creare» vittorie: insomma, un poeta del goal. Un artista, non un proprio un ribelle che, tra un allenamento e l'altro (che, detto per inciso, non saltò mai), dimostrava grande umiltà nell'ascoltare in silenzio i suggerimenti di un tipo quadrato e paterno come Beniamino Santos. A dimostrazione che il giovane Gigi era sì un tipo bizzarro - uno che si disegnava i vestiti, che anziché regalare rose alla sua adorata mamma preferiva confezionargliele di carta - ma non certo un fesso, come molti finti anticonformisti prêt à porter degli anni sessanta/settanta.
Ma veniamo alla cronaca. Stagione 1962-1963, il Genoa naviga in cattive acque ed affronta in casa un tostissimo Lanerossi Vicenza. A risolvere la situazione è «Calimero» (nomignolo affibbiato al Gigi dai tifosi) con una serie di magistrali giocate ed un gran gol che vale praticamente la salvezza. Poi è la volta del Milan neocampione d'Europa che i grifoni incontrano in quel di San Siro per la finale della Coppa delle Alpi. Meroni gioca una partita memorabile, ubriaca a forza di dribbling l'esperto Giovanni Lodetti, e dipinge sulla testa di Dal Monte due palle strepitose che finiscono in rete. Vittoria e Coppa: Gigi viene portato in trionfo. «Questo Meroni - commentò Lodetti - tra un anno va dritto in Nazionale».
Non stiamo qui a raccontare tutti i goal da Meroni ispirati e quelli da lui fatti - non moltissimi in verità - in casacca rossoblù (su sei, tutti belli, ne ricordiamo uno, clamoroso, rifilato al Bari: discesa a razzo dalla destra, tre avversari saltati come birilli, portiere aggirato e palla nel sacco), ma preferiamo soffermarci sulla sua folgorante e purtroppo breve e curiosa esistenza. Con i primi soldi guadagnati non si compra la fuoriserie, ma regala una lavatrice alla mamma. Le sere libere non frequenta festini, ma dipinge, ascolta jazz, legge o va al luna park, dove un giorno incontrerà Christiane, il suo unico amore che avrà il coraggio di andare a strappare in chiesa, al futuro marito, regista cinematografico, poco prima del fatidico sì. Ovviamente i giornali iniziano ad interessarsi al questo singolarissimo calciatore che, nel frattempo, continua a progredire professionalmente, al punto da fare venire l'acquolina in bocca al Torino di Pianelli che sta lavorando per riportare la squadra ai fasti antecedenti la sciagura di Superga.
Siamo alla fine dell'avventura di Meroni in rossoblù: un'avventura che il ragazzo onora con una sfilza di ottime prestazioni. Poi, complice il perdurante deficit di cassa, nel 1964 l'allora presidente del Genoa Giacomo Berrino decide di cedere il suo gioiello al Toro per la cifra record di 500 milioni. La mossa scatena le ire dei tifosi che danno vita ad una clamorosa e rumorosissima manifestazione di piazza. Saputa la notizia, Beniamino Santos, che si trova in Spagna, si precipita a Genova per cercare di scongiurare il trasferimento, ma muore in un incidente stradale. Triste e cattivo presagio.
Con i colori granata, Gigi matura ulteriormente e diventa un vero campione: la «farfalla» granata. Entra nella nazionale (sei presenze, due reti) di Edmondo Fabbri, nel 1966 partecipa agli sfortunati Mondiali di Inghilterra, ma si rifà alla grande in campionato. Il successo è conseguito e Gianni Agnelli insiste per averlo. Ma la sfortuna è in agguato. L'anno seguente, il 15 ottobre 1967, dopo un incontro vittorioso con la Sampdoria, Meroni, in compagnia con il collega e amico Fabrizio Poletti è sulla via di casa quando la coppia viene falciata da un'auto.

Meroni finisce sulla corsia opposta, dove un'altra vettura - guidata, ironia della sorte, dal futuro presidente del Torino, Attilio Romero, a quel tempo suo fan - investe per la seconda volta Gigi che morirà poche ore più tardi all'ospedale Mauriziano. Ai suoi funerali parteciperanno decine di migliaia di persone e tanti, tanti tifosi rossoblù.

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