Metro C, Italia nostra torna alla carica

Un ricorso al Tar del Lazio bloccato da maggio 2005 - quando il Tribunale amministrativo regionale rigettò la richiesta di sospensiva della gara d’appalto della Metro C -, e una segnalazione alla Corte dei Conti per «spreco di denaro pubblico». A distanza di due anni, le rivelazioni de Il Giornale circa lo spostamento della fermata Venezia in seguito ai ritrovamenti archeologici, fanno ripartire l’azione della onlus Italia Nostra contro un progetto «che è già superato ed eccessivamente costoso», come spiega il consigliere Antonio Tamburrino.
«Nel 2005 - continua Tamburrino - il Tar ritenne che non c’erano motivi d’urgenza per sospendere la gara d’appalto, senza tuttavia entrare nello specifico del nostro ricorso. Alla luce delle ultime novità sulla stazione Venezia, solleciteremo il Tribunale affinché fissi al più presto l’udienza per emettere il giudizio di merito. Analogamente, la documentazione inerente a Il Giornale è già stata inserita nel dossier sulla Metro C depositato presso la Corte dei Conti, che ha ritenuto degna di nota la nostra segnalazione». E chissà se nei prossimi giorni il fascicolo si arricchirà di un articolo apparso ieri su un altro quotidiano, che ha dato risalto ai nuovi «tesori» di piazza Venezia (una vetreria del ’400) rinvenuti durante gli scavi archeologici», derubricando a «voci sulla cancellazione dal progetto» (della fermata) quanto contenuto in un report di Roma Metropolitane. La scoperta, si legge ancora, renderebbe «obbligata la scelta di spostare la stazione» altrove - cioè nella zona all’inizio dei Fori da noi indicata (sempre che abbiano successo i sondaggi preliminari in corso) - e che conduce all’amara riflessione del soprintendente Angelo Bottini: «Senza la fermata Venezia la linea C non ha senso».
Ma quali sarebbero, per tornare al capitolo Italia Nostra, i motivi del ricorso dell’associazione? Quelli che si leggono nella memoria d’udienza presentata il 25 maggio 2005 - prima cioè, del pronunciamento sfavorevole del Tar - in cui si ricorda come il Comune abbia «ignorato le proposte di Italia Nostra, fatte proprie dal Cipe, per avere una metro C ad automazione integrale, senza macchinista a bordo. Se il Comune recepisse realmente tale principio a livello progettuale, si risparmierebbero tempo - 5 anni della metro di Torino contro i 10 anni stimati per la C - e denaro (60 milioni di euro a chilometro del tube torinese contro i 150 milioni previsti per la C), al fine di dare la nuova metro ai romani in tempi dimezzati, più lunga e più moderna, oltre che meno invasiva per il sottosuolo archeologico e le fondamenta dei palazzi». Così come prevede il progetto di «Metro leggera» ideato nel 1994 da Italia Nostra per conto del Centro Nazionale Ricerche.
Da segnalare infine, come Roma metropolitane abbia privato gli utenti dell’unico canale informativo ufficiale sull’avanzamento dei lavori della Archeo-metro.

Dal giorno seguente alla citazione de Il Giornale infatti, sul sito della società presieduta da Chicco Testa è scomparso l’ultimo bollettino sullo stato dei cantieri - quello, aggiornato al 30 marzo, in cui si confermava il trasloco della stazione Venezia - ed è sparito anche l’ultimo report sulla linea B1. Cliccando, le pagine in questione risultano «rimosse, rinominate o temporaneamente non disponibili». Una strana coincidenza dovuta a un banale disguido tecnologico. Almeno questo è l’auspicio.

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