«La mia Alice racconta tanti sogni»

La bimba del «Paese delle meraviglie» danza anche con il jazz di Stefano Bollani

«La mia Alice racconta tanti sogni»

Valentina Fontana

Entrare nel fantastico mondo di Alice, raccontare la bambina curiosa e un po’ saccente che viaggia nel paese delle meraviglie seguendo il bianconiglio. Intrufolarsi nell’invenzione linguistica e nell’esplosiva fantasia di un matematico inglese abituato a scrivere libri su Euclide, Charles Lutwidge Dogason alias Lewis Carroll, che sognò e inventò la sua Alice nel paese delle meraviglie. Di nuovo con un monologo, di nuovo con un fluire di parole, passione, emozione, ironia, con fantasia e razionalità Lella Costa racconta la favola di Alice, il suo viaggio surreale e fantastico tra infanzia e maturità, portando in teatro quel «libro della vita», come sottolinea il regista Giorgio Gallione, che continua a parlarci attraverso altre voci. Alice non si ferma nel suo paese delle meraviglie, la sua fantasia e curiosità continuano a viaggiare, è la Alice di Martin Scorsese, la Alice di Wim Wenders, di Francesco De Gregori e Tom Waits, e così Alice, una meraviglia di paese con Lella Costa, da questa sera al Teatro Grassi.
Come rinasce in teatro la sua Alice?
«L’idea nasce dalla fantasia del mio amico stilista Antonio Marras. “Dovresti fare Alice”, mi disse alla fine di una sfilata. Antonio inventò il mio splendido abito di scena e io ricercai un nuovo tema. Per accompagnare la mia Alice in questa meraviglia di paese chiesi poi l’aiuto di Giorgio Gallione che praticamente la insegue da sempre».
Chi è Alice?
«Alice non viaggia soltanto nei paesi delle meraviglie e attraverso gli specchi della fantasia e della totale libertà d’invenzione linguistica. Alice non è soltanto la curiosa bambina bionda, Alice è anche altro. Alice è il simbolo di qualcosa, di tante cose che hanno popolato i sogni e i viaggi di tanti esploratori contemporanei, e di tante avventure. È Radio Alice, la radio che negli anni Settanta raccontava in diretta da Bologna il mondo che esplodeva, è Alice che guarda i gatti e viaggia nelle città. È tutte noi ragazze che a ogni età e in ogni situazione ci sentiamo vagamente a disagio, o fuori posto, troppo grandi o troppo piccole, o magre o grasse, comunque inadeguate».
Quindi la bella favola del paese delle meraviglie di Carroll è solo il punto di partenza per parlare della società attuale?
«Alice è il nonsense, il surreale come sublime piacere del paradosso, ma anche come “grimaldello” per esplorare e raccontare alcuni luoghi dell’indicibile contemporaneo. Alice vive il mondo alla rovescia, il suo mondo è rivoluzionario. Alice rappresenta l’infanzia e l’essere femminile con le sue doti e i suoi difetti. Alice quindi anche per guardare il nostro mondo scoprendo che non siamo tanto lontani dai grotteschi scenari così divertenti nel romanzo, spesso per noi così inquietanti. Attraverso Alice parlo così dei bambini di tutto il mondo: i dati dell’ultimo rapporto Unicef indicano miliardi di piccoli che continuano a morire di fame e malattie. Numeri da matti, si fa fatica a pensare che corrispondano alla realtà. Viene fuori un mondo che va alla rovescia anche quando parlo del carcere, della sofferenza psichica, dei bambini della strage nella scuola di Beslan».
Gallione scrive che «Alice è anche inseguire una specie di speranza disperata consapevoli che talvolta viviamo prigionieri dei sogni altrui». Dove si trova allora quella meraviglia?
«Nell’impararla. Con le sue lezioni di meraviglia Alice dimostra che si può imparare a guardarla. Ho cercato la meraviglia anche sulla scena, così si scopre nelle musiche e nei costumi. Per far danzare Alice ho pensato al jazzista Stefano Bollani e la meraviglia esplode nell’abito di scena di Antonio Marras».


Come si sente nei meravigliosi panni di Alice?
«Non faccio Alice, la racconto. Mi identifico solo nel momento in cui Alice entra nel bosco delle cose senza nome e perde se stessa, ma del resto è una situazione che può capitare a chiunque».

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