
Alla fine, Gaia, si sente più italiana o più brasiliana?
«Io sono paolina, le mie radici sono nella metropoli di San Paolo, ma questo disco è una lettera d'amore all'Italia».
Infatti non ci sono canzoni in portoghese.
«Con il portoghese sono sempre stata molto autonoma, mentre l'italiano mi allontanava dalla scrittura. Con questo disco mi sono innamorata musicalmente di questa lingua».
Si intitola Rosa dei venti. Autobiografico?
«No, io non mi sento un vento. Spesso però sono portata dai venti».
Gaia è Gaia Gozzi, cittadinanza italiana ma anche brasiliana, nata a Guastalla e poi cresciuta vicino a Mantova, e la sua storia è in qualche modo sinonimo di caparbietà ed eclettismo visto che è arrivata seconda a X Factor nel 2016 e poi prima ad Amici di Maria De Filippi nel 2020, ha fatto un tormentone con il discutibile Tony Effe, ossia Sesso e samba, e poi un duetto nell'ultimo Sanremo con l'indiscusso Toquinho nella meravigliosa La voglia, la pazzia di Ornella Vanoni. Insomma, è un'anima fuori dal tempo del nostro pop, lei così volatile così candida, e lo ha mostrato anche ieri, commuovendosi mentre cantava alcuni brani del nuovo disco Rosa dei venti in un locale che, con il nome, Combo, rende bene l'idea del collage di sensibilità che ogni volta questa ragazza porta nella sua musica. C'è saudade, ma c'è anche urban, c'è la ritrattistica della canzone d'autore ma affiora qui e là pure la scrittura per slogan che oggi è molto attraente. In attesa di trovare la giusta dimensione, Gaia ha impacchettato un album vecchio stile, anzi vecchia scuola, pensato e costruito quasi come un concept nel quale affiorano anche ospiti distanti tra loro. Eccoli.
Guè in Addicted.
«Un mio punto di riferimento da sempre».
Capo Plaza in Ti fidavi.
«Un modello della nuova generazione».
Toquinho in Vento.
«Un maestro, cosa posso dire d'altro. E i maestri si distinguono sempre per la loro umiltà».
Lei sembra ancora in continua trasformazione.
«Sì, credo di esserlo sempre. A volte mi convinco di aver fatto 100 chilometri in avanti, altre mi sento indifesa e immobile. Di sicuro ho imparato a essere meno feroce nei miei confronti, sono più gentile e accondiscendente».
A Sanremo si è piazzata in fondo, ma il pezzo Chiamo io chiami tu funziona in radio e sui social.
«Quello era un brano senz'altro più adatto al Festival di Amadeus che a quello di Carlo Conti, molto più autoriale. Però Sanremo non è soltanto occhio di bue e asta del microfono, è tanto altro e, comunque, il brano si è fatto notare sia in positivo che in negativo».
Il video è diventato virale in mezzo mondo.
«Più che altro è diventato virale il balletto di Carlos Diaz Gandia, una forza della natura».
Coreografo spagnolo, classe 1995, ha lavorato anche con Mahmood e ora con Will Smith.
«I passi del balletto che si è inventato per Chiamo io chiami tu rendono l'idea della sua energia».
Gaia, lei canterà al Fabrique di Milano il 7 maggio. Ci sarà anche Gandia?
«Beh se non è in giro per qualche altro progetto, io di sicuro lo invito».
Anche lei viaggia molto.
«Ultimamente ho fatto molti viaggi, da sola o in compagnia. Islanda. E soprattutto Amazzonia. Ora nella mia vita c'è un prima e un dopo. Là ho trovato il mio posto in mezzo agli Ashaninka, un gruppo etnico che mi ha accolto come fossi figlia loro».
Ha mai pensato di smettere?
«Tante volte».
E cosa farebbe?
«Me ne starei là, magari costruendo un centro culturale e una sala di registrazione perché la musica rimarrà comunque parte della mia vita».
Qualche volta è stata accostata a
posizioni politiche.«Se proprio devo dirlo, sono distante dalla destra e dalla sinistra. Viviamo in un'epoca di manipolazione dell'informazione. A me interessa soprattutto la salvaguardia dei diritti dell'uomo».
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