"Le mie nuove canzoni sono un secondo esordio"

Esce il disco "Alaska Baby" nato dopo un viaggio per il mondo. A giugno il tour di Cesare Cremonini negli stadi

"Le mie nuove canzoni sono un secondo esordio"
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Cesare Cremonini dove siamo arrivati?

«A quota otto dischi in studio».

Questo si intitola Alaska Baby.

«Ho ricominciato di nuovo da zero».

Addirittura.

«Venivo da un album di passaggio dopo la separazione dal mio manager Walter Mameli ed era una fase molto faticosa perché lui era come il mio secondo padre».

Poi ci fu un tour trionfale a dir poco.

«E il passaggio al Festival di Sanremo del 2022 fu il momento di separazione tra il disco e i concerti in spazi giganteschi come gli stadi».

Il prossimo anno ci ritorna.

«Dopotutto per me questo disco è come un secondo esordio».

C'è qualcosa di imponderabile in Cesare Cremonini, così imponderabile da renderlo inimitabile. Vive nel nostro tempo eppure sembra distante anni luce per scrittura e ispirazione, riempie gli stadi (già oltre mezzo milione di biglietti venduti per il tour 2025) ma è quasi confidenziale nei toni e nell'ispirazione. Di certo a 44 anni, ossia 25 anni dopo l'unico disco con i Lùnapop, Cremonini resta un caso unico perché affronta la musica con il rispetto sacrale di chi non può farne a meno e, passo dopo passo, si sgranocchia i luoghi comuni come fossero noccioline. Si diceva che le sue canzoni non andassero bene per le radio e invece il primo singolo di questo disco, ossia Ora che non ho più te, è stato per settimane il più trasmesso. E poi non sembrava adatto per i megaconcerti negli stadi ma poi ha inanellato uno stadio dietro l'altro e oggi «per me è quasi incredibile pensare che io abbia già venduto così tanti biglietti prima ancora di pubblicare il disco». Ora, a dirla tutta, Alaska Baby è davvero una sorta di ripartenza perché è più vitale degli ultimi e soprattutto meno barocco, più diretto, immediato. E che un nuovo Cremonini stesse nascendo lo si capisce anche dal documentario che sarà diffuso da Disney+ e racconta come sono nate queste nuove canzoni. «Cosa ci faccio qui?» dice lui vestito come un esquimese sulla neve dell'Alaska, tappa di un ideale giro del mondo che poi lo ha portato ad Antigua («Piccolo Cristoforo Colombo alla ricerca di sole»), a Nashville, a Memphis, sulla tomba di Johnny Cash e June Carter, «marito e moglie vissuti per morire insieme», e ancora Seattle, Tucson e Los Angeles. Il tutto per rinascere e per frenarsi, per scacciare paure e manie perché «il vuoto dello scrittore è pieno di ego». Allora Alaska Baby è un foglio bianco scritto da un debuttante per la seconda volta che nei brani mescola ciò che ha filtrato dai Beatles e dal brit pop, dai Beach Boys e dai cantautori anni Settanta. È «il gioco della musica» secondo Cremonini, che torna in campo per giocare un campionato tutto suo, e per fortuna che ogni tanto succede ancora.

In scaletta ci sono anche alcuni feat.

«Non li chiamerei così, sono autentiche collaborazioni, sono storie autentiche e non occasionali».

Elisa.

«Ci siamo conosciuti a vent'anni nel backstage di un concerto dei Lùnapop (c'è anche un video, ndr). Mentre stavo viaggiano in auto in Alaska mi ha scritto un messaggio proponendo una canzone che poi è diventata Aurore boreali. D'altronde io ero in Alaska proprio cercando di vedere le aurore boreali. Lei è una divinità artistica di cui sono innamorato da sempre».

Luca Carboni.

«San Luca è un'idea nata e realizzata in momenti quasi commoventi».

Meduza.

«Nel brano Il mio cuore è già tuo ci sono le loro sonorità deep house».

Nel disco c'è un titolo equivocabile: Ragazze facili.

«Ma ti pare che io possa giocare con questi doppisensi? Le ragazze facili sono i fantasmi di paglia che vanno via quando troviamo il coraggio di amare. Nel coro gospel della canzone c'è la voce straordinaria di Elisa.

In Dark Room c'è il piano di Mike Garson, artista legato a doppio filo con David Bowie.

«Nella dark room ci sono i demoni che rappresentano quella parte di te che portano verso l'inferno e diventano anche un problema per chi ti sta vicino. Alla fine del brano urlo come faceva John Lennon, un urlo liberatorio».

È vero che se si risolve l'uomo, si spegne l'artista?

«Forse sono condannato a non risolvermi».

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