Milan, la notte degli spettri «Se va male non vado via»

Ancelotti torna nella fatale Istanbul: «Non è l’ultima spiaggia. E anche se perdessi resterei al mio posto»

Franco Ordine

nostro inviato a Istanbul

Forse è meglio sfogliare i libri di storia. E raccontare a Gilardino e Jankulovski, appena arrivati al seguito del gruppo, che il Milan stasera si ritrova dalle parti dell’antica Bisanzio, poi diventata Costantinopoli, prima di assumere il profilo di questa megalopoli da 12 milioni di persone seduta a cavalcioni tra Europa e Asia, metà da una parte, metà dall’altra. Già, siamo a Istanbul, Istanbul la maledetta per le legioni dei milanisti nonostante le parole e i gesti che provano ad esorcizzare le diavolerie patite dal Milan negli anni passati e da ultima la notte del 25 maggio scorso, una finale fa di coppa Campioni cominciata in modo spettacolare e finita con un testa-coda storico. «Io ricordo solo che abbiamo giocato una finale, poi della partita ho ricordi confusi», con quel carattere allegro e spensierato, anche quando c’è un pisano alla porta, Carlo Ancelotti riesce a rendere bene l’idea dell’effetto che fa tornare a Istanbul sei mesi dopo per l’esattezza. È come rimettere piede in un incubo. «Arrivarci anche quest’anno in finale...» segnala il condottiero, in una pausa teatrale, che è una specie di grido di dolore salito al cielo di Malpensa prima di volare verso il Bosforo.
È come se sentisse odor di resa, quest’anno, dalle cadenze del suo Milan, che si ritrova con la qualificazione in bilico, affacciato sull’albergo che ospita anche Ciampi e Fini, e la delegazione industriale guidata da Montezemolo e Tronchetti Provera. Dev’essere per questo che sua moglie Luisa, tutta vestita di nero, gioca con i cronisti. «Mi sono messa già in lutto stretto» chiosa divertita. Per sbarcare agli ottavi il Milan deve ricavare almeno quattro punti tra la trappola di stasera, stadio Sukru Saracoglu dove avvenne la caccia all’uomo al culmine di Turchia-Svizzera, e la chiusura con lo Shalke 04, martedì 6 dicembre a San Siro. «Non siamo all’ultima spiaggia, non è il caso di evocare scenari catastrofici», mansueto, Ancelotti replica all’inevitabile quesito che è sulla bocca di tutti. «E comunque, anche se dovessi perdere, resterei allenatore del Milan» garantisce in serata Ancelotti a chi gli evoca uno scenario disastroso.
È vero, non si gioca nel deserto dell’Ataturk, è vero non ci sono quei dannati inglesi del Liverpool pronti a ribaltare il destino in sei minuti, ma anche il Fenerbahce, nel suo piccolo, può legare il Milan al palo del supplizio. È una squadra piena di soldi, di ambizioni e di gol, nelle prove domestiche: in due apparizioni ha rifilato 6 gol, tre ciascuno, a Psv e Shalke 04, appartiene alla borghesia turca e nella serata non può disporre di un paio di squalificati (Marco Aurelio e Fabio Luciano), della stella Alex, in dubbio anche quel bisonte di Anelka.
«Signori, è la quinta volta che torniamo a Istanbul» ricorda Adriano Galliani prima di lodare Lotito e incarnare un po’ di sano orgoglio patriottico. «Siamo sempre primi nella graduatoria Uefa, siamo primi in Italia nella storia con 6 coppe Campioni, abbiamo eccellenti rapporti col Fenerbahce, perché dovremmo avere paura?» chiede il vice-Berlusconi che all’arrivo trova conforto solenne nelle sue parole.

Sembra l’accoglienza di una diva di Hollywood: mazzi di fiori alle signore della delegazione (la moglie di Ancelotti e la sorella di Galliani), scritte d’incoraggiamento all’aeroporto («niente paura Milan») e le pratiche di sbarco a tempo di record. Così i turchi provano a far dimenticare quel che accadde una settimana fa, in questo stesso stadio. Ma nessuno si illuda: stasera si balla.

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