Milan a passo di lumaca. E Sheva non c’entra

nostro inviato a Genova
Il Milan lumaca è un bel problema non facilmente risolvibile. Di questo passo il suo distacco virtuale dall’Inter rischia di diventare ancora più consistente prima del derby, altro che 8 punti riguadagnati in due mesi come nei proclami dell’estate. Belle parole. Ma nel calcio, con le parole, è difficile transitare per qualche traguardo suggestivo. Servono i fatti, e i risultati da mettere in sequenza, uno dopo l’altro prima di cantar vittoria. E invece il piatto piange, dalle parti di Milanello. Tre punti in tre partite, nelle ultime tre poi, sono un fatturato da stagione deludente e costituiscono una striscia sufficientemente lunga per segnalare un limite che sta diventando un tormento calcistico. Non c’è solo l’accanimento di qualche svista arbitrale, c’è dell’altro e bisogna per tempo affrontare la questione tecnica per trovare soluzioni efficaci. Cominciamo dall’ennesimo torto arbitrale prima di arrivare all’analisi calcistica. È vero, anche a Genova, c’è un episodio che può essere sventolato a dimostrazione di una curiosa tendenza: quest’anno due società, Milan e Reggina, penalizzate in classifica dai processi di moggiopoli, sono inseguite da una serie di clamorosi torti arbitrali. Chissà, forse è solo un caso, una coincidenza sinistra ma di solito tre-quattro indizi fanno una prova. Veniamo al fatto di ieri a Marassi. Sullo 0 a 0, e sul finire della prima frazione, Inzaghi si procura un rigore doc, di quelli da mostrare a Coverciano durante i raduni settimanali degli arbitri, e Rosetti, il fischietto torinese, lo trasforma in una punizione contro. SuperPippo esce come un mago dal mucchio di tre difensori della Samp, salta in dribbling rotondo Castellazzi che, sdraiato, si oppone con le mani e ne procura la caduta. È tutto chiaro, trasparente. Solo un pregiudizio morale nei confronti di Pippo può indurre allo sfondone l’arbitro internazionale. Nel calcolo degli episodi bisogna anche aggiungere altre due citazioni: una trattenuta di Maldini (su Delvecchio) in partenza e un contatto galeotto braccio-pallone prima che Kaladze scodelli l’1 a 1. È Rosetti che non è in forma, insomma. Nessun complotto.
Ma anche il Milan, nel suo piccolo, non è granché. E qui il punto non è il ritornello sugli attaccanti, la mancanza di Shevchenko e banalità assortite di questo tipo. No qui la questione è antica e torna alla ribalta ogni qualvolta il Milan di Ancelotti si ritrova nelle stesse condizioni tattiche: cioè se deve mettere al muro il rivale e deve aggirarlo in qualche modo non avendo a disposizione i piedi di Serginho e del miglior Cafu per le sue torri. Poi ci sono scadimenti che sono sotto gli occhi di tutti e di cui bisogna discutere. Uno riguarda Kakà, per esempio, che a metà del primo tempo riceve un cicchetto pubblico da Seedorf. Non scatta, sta fermo, aspetta sui piedi il pallone: tutto inutile. E l’olandese non glielo manda a dire. Altra flessione nel rendimento di qualche vecchio guerriero in difesa (Maldini, con rispetto scrivendo) e dei ricambi utilizzati per l’occasione. Se per lo stress azzurro, Pirlo si ferma ai box a rifiatare, non c’è nessuno in grado di sostituirlo: Brocchi ha tanta buona volontà e piedi poco nobili che lo tradiscono puntualmente. Così il governo del pallone e il comando della partita diventano un esercizio molto sterile che porta il Milan a impensierire la Samp solo con Inzaghi e a soffrire le ripartenze dei giovanotti di Novellino.
Nella ripresa, poi, è come se mancasse la brillantezza. Di tiri in porta, prima della pugnalata di Bonazzoli, neanche l’ombra. Distratto e poco ispirato, il Milan si riversa nella metà campo altrui ma senza produrre gioco offensivo intasando solo gli spazi. Anzi lasciando alla Samp in contropiede la palletta del vantaggio (cross di Pieri, testa di Bonazzoli) a metà della seconda frazione. A quel punto solo l’intervento di un difensore di razza dalla panchina, il georgiano Kaladze, pieno di grinta e di energie, è in grado di cambiare il destino del Milan e del risultato. Sfonda più volte da quel valico e si procura anche l’occasione per rimettere in sesto il risultato. Nel frattempo Gilardino esce senza alcun rimpianto dei suoi cedendo il passo a Oliveira.

Il pari è un approdo dolce per la Samp che alla fine si difende con le unghie e con i denti perché non ha forza per tenere botta dietro. Per il Milan ha il sapore quasi di una rinuncia alle impegnative ambizioni coltivate per tutta l’estate, prima e dopo Belgrado.

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