Milano 1944, un amore contro il genocidio

IL LIBRO La storia dei coniugi Ucelli. Così un imprenditore e sua moglie lottarono per gli ebrei

La giornata della Memoria è una costellazione di frammenti, dove la storia scritta, quella ufficiale, si interseca con una miriade di storie personali; vicende umane rimaste custodite nel ricordo e che talvolta soltanto a distanza di decenni riemergono come una ferita mai rimarginata e riaccendono il dolore di chi ha vissuto il volto peggiore dell’ultima guerra. Una di queste storie è raccontata nel libro di Moreno Gentili intitolato «Milano 1944, un amore» (Skira) e dipinge il ritratto di due anime protagoniste dei tragici giorni dell’occupazione nazista, costellati di una violenza fisica e psicologica che sotto la Madonnina portavano nomi sinistri: quello di «Binario 21» (quello da cui partivano i treni pimbati delle deportazioni), l’Hotel Regina in cui i nazisti interrogavano i prigionieri politici e gli ebrei, o via Rovello 2 (attuale sede del Piccolo Teatro) dove la Legione Muti istituì la propria caserma comando, e ancora «Villa Triste», così soprannominata per le torture che vi si infliggevano, in via Paolo Uccello, dalle parti di San Siro. Ecco allora che la parola «Amore» che accompagna il titolo del libro di Gentili sembra stridere nelle maglie dell’abbrutimento umano, eppure emerge come una parola salvifica attraverso l’opera di coloro che si prodigarono gratuitamente in difesa dei perseguitati mettendo a repentaglio le loro stesse vite e quelle dei loro familiari. Come l’imprenditore Guido Ucelli e la moglie Carla Tosi, la cui opera è per la prima volta raccontata nel libro di Gentili che raccoglie i ricordi, le testimonianze e i documenti fino ad oggi conservati dai congiunti. Il libro racconta vicende realmente accadute, ed è la storia appassionata di una coppia di milanesi arrestati dai nazifascisti nel luglio del 1944 per aver aiutato alcuni ebrei in fuga dall’Italia verso la Svizzera, e liberati – Guido dopo poche settimane, Carla dopo essere stata deportata a Bolzano – grazie alla loro determinazione e all’impegno della loro famiglia. Le pagine scorrono veloci ora in forma di cronaca ora narrando in forma diretta la storia di ordinaria generosità di chi non volle arrendersi al sopruso razziale e alle angherie degli oppressori. Una prosa asciutta che fa parlare i personaggi e ne dipinge i caratteri, mettendo in luce gli eroismi ma anche le meschinità dei delatori o dei traditori, come nella descrizione della tragica fuga dei coniugi Minerbi, i due anziani ebrei arrestati dalle Ss ad un passo dal confine svizzero perchè «venduti» da uno dei passatori. E racconta storie di crudeltà e di umanità all’interno del quinto raggio del carcere di San Vittore riservato ai detenuti politici senza diritti, dove i destini dei coniugi Ucelli si scontrarono con quelli del maresciallo aguzzino Franz o della magnanima secondina Gemma. «I controlli su tutti i civili erano continui: bisognava dimostrare di essere ariani.

In caso contrario si era portati in caserma e spesso deportati in Germania». Così, nel racconto di Pia Majno Ucelli, scorre l’affresco di giorni mai dimenticati, come l’insegnamento di chi seppe dimostrare che alla fine l’amore vince sempre.

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