«A 85 anni torno sul palco per poter pagare l'affitto»

A 85 anni suonati Piero Mazzarella, il «Chaplin dei navigli», è ancora lì sul palcoscenico per interpretare uno dei personaggi simbolo di una milanesità antica, il Tecoppa. È ancora lì per due buone ragioni: la prima è che il teatro è la sua vita («fuori sono uno stupido qualsiasi» si schermisce), la seconda è che la risicata pensione non basta a mantenere la casa in affitto, la moglie e due figli ancora a carico. «Sono nove mesi che non lavoro e tutti sanno che vivo sulla soglia di povertà e malatissimo di diabete. Ma chi mi vuole bene qualche volta si ricorda di me». Tra questi c'è Andrée Ruth Shammah del teatro Franco Parenti che alla domenica gli ha dedicato lo spettacolo della pomeridiana. Fino a quando? «Fino a che riempio la sala, spero a sufficienza per riuscire a pagare i debiti».
Una storia amara per un grande artista che nella sua lunga carriera ha lavorato con i più grandi registi, da Strehler a Dino Risi e che ha all'attivo anche 14 film, come Il maestro di Vigevano di Elio Petri e Un povero ricco di Pasquale Festa Campanile. Ma nella sua vita c'è soprattutto tanto teatro, da quello comico di El nost Milàn a quello drammtico del Santo bevitore in cui incarnava il clochard etilista narrato da Joseph Roth. Negli ultimi anni, però, per sopravvivere è stato costretto a vendere gli oggetti più cari. «Ho dato via di tutto, libri, onorificenze e rare fotografie. Come questa di Edoardo Ferravilla, il grande commediografo milanese scomparso nel 1911. È un pezzo da museo, ma spero di tenermela». Chi ha assistito al suo monologo di Tecoppa, giura che raramente una maschera vernacolare straripante di tragica umanità è stata meglio incarnata dal suo attore recitante. «Io sul palco non leggo mai, spesso improvviso, ma sono sempre autentico e questo il pubblico lo sente», dice Mazzarella che rivendica al suo attivo oltre 200 testi a memoria. «Tecoppa è un personaggio del popolo ed è universale, diciamo pure autobiografico, perchè dentro c'è un pezzo della mia storia». Una storia nata in una casa di ringhiera e già a sei anni sul palcoscenico dietro ai genitori che erano attori di giro. Oggi la sua camera è una specie di sacrario affollato di ricordi. «Mi han voluto tutti bene e sono stato amico dei più grandi, da Pasolini a Totò, da Nino Taranto ad Alberto Sordi che sul set mi disse di essere onorato a lavorare con me. Perchè sono ridotto così? Forse perchè ho detto sempre quello che pensavo, non ho mai chiesto favori e non ho mai leccato il c... a nessuno». Per colpa della generosità e delle diarie teatrali non è riuscito neppure a comprarsi casa. Oggi vive in un modesto appartamento in via Olgettina, a due passi dagli studi Mediaset, con due figli precari e la moglie («è un'ex ballerina della Scala che prende 400 euro di pensione»). A proposito, nella sua storia c'è pure tanta televisione. «Sono stato uno dei primi, negli studi di Telemilano, a lavorare con le tv di Berlusconi. Sua mamma Rosa mi adorava e anche lui mi ha sempre apprezzato, ma io non chiedo elemosine a nessuno». E la sua Milano, di cui resta l'ultimo ambasciatore artistico, l'ha abbandonata? «Cosa vuole che le dica, da quando non lavoro non esco mai e non vedo mai nessuno, ma tutti dicono di volermi bene. Anche i politici, a parole, mi hanno sempre tenuto in palmo di mano. Salvo poi tentare di usarmi come bandiera chiedendomi di andare al loro servizio, e non faccio nomi».

E lei che cosa ha risposto? «Che preferisco vivere male ma morire pulito, da persona perbene che non ha mai ceduto alle lusinghe del potere; anche se la serietà conta poco e il mondo è in mano a chi vuole arricchirsi sulle spalle degli altri, infischiandosene dei giovani dei bambini e degli anziani. Ma lo sa come lo chiamavamo a Milano il denaro?». No, me lo dica lei. «La merda del diavul».

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