«La sinistra milanese è agrofobica». L'assessore regionale all'Agricoltura Fabio Rolfi non si capacita: alle porte di Milano ci sono 36 aziende agricole, riunite in consorzio, che potrebbero e dovrebbero essere considerate un fiore all'occhiello della produzione agroalimentare della città e del Paese. E invece rischiano di essere abbandonate a loro stesse. Il problema è l'orientamento recente del Comune, intenzionato a privilegiare gli ambientalisti «alla moda» e sempre più compreso nel suo approccio verde astratto e di facciata. «Qui si rischia di perdere di perdere ciò che resta della vocazione agricola di Milano, che è antica e importante» osserva preoccupato Rolfi.
Emblematico il caso dell'area Trenno: un progetto del Distretto agricolo milanese (Agrilab) punta a fare di quei 50 ettari destinati a riso un laboratorio di agricoltura innovativa. Questo progetto Agrilab - concepito con Caritas e facoltà di Agraria - è stato presentato al Comune nell'ambito di più incontri, nel corso dei quali gli agricoltori hanno rivendicato con orgoglio di rappresentare di un mondo che coltiva 3mila ettari nel territorio comunale e alleva oltre mille capi di bestiame, forniscono i propri prodotti che finiscono in tutte le tavole (riso, latte, formaggio ecc).
Eppure questo progetto pare essere stato sostanzialmente ignorato dal Comune, e intanto qualcuno dà pubblicamente per scontato che quei terreni siano destinati a un grande orto urbano. Vertici e soci del Dam sono temono che sia un precedente eloquente sulle intenzioni di Palazzo Marino, dove un ambientalismo molto ideologico coltiva l'idea di dover salvare il mondo mediante il contenimento delle attività umane, e poi traduce questa «missione», prosaicamente, in iniziative che eleggono ad interlocutore quelli che qualche agricoltore considera «associazioni ambientaliste o pseudoambientaliste, o imprese pseudoagricole, prive di mezzi e competenze».
Anche la presidente del Dam Natalina Campi teme che quello di Trenno sia un precedente, e avverte: «Non cederemo un solo metro». La realtà agricola milanese è misconosciuta, anche perché non asseconda alcuna narrazione. Eppure è importante. Le aziende agricole del milanese sono agricole davvero e gli agricoltori abitano nelle cascine, dove si trovano davvero trattori, mucche, polli e cavalli. Adesso questo mondo percepisce il palese disinteresse del Comune, si sente snobbato e potenzialmente minacciato. E il Dam pensa che il caso di Trenno faccia capire che aria tira.
«Non si può, in nome di una facile propaganda, pensare di poter sostituire un'arte, come quella dell'agricoltore, che non può essere improvvisata, ed è frutto di secoli di esperienze, competenze sempre aggiornate e impegno quotidiano - avverte Daniele Albini, che ha curato il progetto da vicepresidente del Dam - È rischioso che un tema così complesso venga affrontato con superficialità e un'improvvisazione che forse risente anche del clima elettorale - aggiunge, da imprenditore agricolo, facendosi portavoce di altri agricoltori milanesi - La città non ha bisogno di iniziative mediatiche, ha bisogno che i terreni agricoli rimangano tali e gestiti da persone competenti, che non vivono di sussidi, e non si aggrappano alle opportunità politiche». «Gli agricoltori di Milano hanno avuto un eccellente interlocuzione quando c'era il vicesindaco De Cesaris, che ha saputo accogliere e sviluppare i suggerimenti fatti dagli agricoltori. e insieme si è sviluppato il piano per il recupero delle cascine di Milano, così come per le compensazioni legate ad Expo dove gli agricoltori hanno messo a dimora qualche migliaia di alberi e di arbusti. Oggi invece vediamo che gli agricoltori sono esclusi dai grandi progetti che riguardano il verde della città. E Forestami è un esempio».
«Milano con Expo è stata capitale mondiale del cibo prodotto grazie a una agricoltura sostenibile - conclude Rolfi - Ora sembra che si vada nella direzione opposta solo per strizzare l'occhio agli ambientalisti da salotto che credono che il cibo cresca direttamente nei supermercati.
Milano è il secondo comune agricolo d'Italia e sarà città olimpica nel 2026. Sarebbe folle non sfruttare questa vetrina anche come occasione per il nostro agroalimentare, famoso nel mondo per qualità, sicurezza e sostenibilità ambientale delle produzioni».
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