(...) con cui Rudolph Giuliani definì il suo programma per ripristinare sicurezza e ordine nella New York di cui era appena stato eletto sindaco farebbe inorridire il progressista-democratico tipo, quello che gli anglosassoni chiamano liberal. Eppure Rudy ce l'ha fatta: in pochi mesi è riuscito a fermare e invertire l'angosciosa corsa verso il degrado intrapresa dalla Grande Mela fra gli anni '80 e '90. La metropoli americana è rapidamente- tornata ad essere una delle più attrattive, vitali e soprattutto sicure del mondo. Perché il senso di quell'espressione, insopportabilmente reazionaria per il nostro progressista-democratico, in realtà è solo questo: fermare degrado e illegalità fin dalle sue prime manifestazioni, anche se apparentemente innocue, senza prendere per buoni sociologismi e buonismi di sorta. È esattamente quello che a Milano non si è fatto per anni, accettando, ad esempio, giustificazioni del tipo «stato di necessità» per le occupazioni abusive delle case, o invocando come unica soluzione una evidentemente impossibile integrazione degli immigrati anche clandestini o, i più poveri di fantasia, dando la colpa alla solita crisi economica che spiega tutto. Il risultato è che rapidamente interi condomini di via Padova, San Siro o del Giambellino diventano fortini dello spaccio, rifugi per bande criminali di qualsiasi provenienza. Se le prime occupazioni abusive o comunque presenze illegali fossero state aspramente contrastate certo non saremmo a questo punto. È comodo ignorare un sintomo di incipiente degrado ma quando il processo è completato e il degrado è completo e conclamato, diventa difficile se non impossibile intervenire. Un esempio. Nel parchetto giochi per bambini di via Benedetto Marcello angolo via Scarlatti qualche mese fa sono comparsi gruppetti di africani che vi si intrattenevano a lungo. Verso sera, dai bauli delle auto sbucavano merci non meglio identificate, il numero degli occupanti dell'area è andato rapidamente aumentando e il tempo della loro permanenza anche. Ora sono una cinquantina e se ne stanno lì per gran parte della giornata, e non chiedetevi di cosa vivano. Il fenomeno è stato segnalato diverse volte a chi di dovere: nessuno si è mosso e ora uno spazio dedicato ai bambini è stabilmente occupato da non meglio identificati «altri» che evidentemente riescono a sopravvivere senza lavorare. Ecco, in questo caso. All'inizio apparentemente trascurabile, la «tolleranza zero»con una più assidua e attiva presenza di forze dell'ordine avrebbe bloccato sul nascere un fenomeno i cui sviluppi sono facilmente prevedibili. Certo, per praticare la tolleranza zero, per essere in grado di applicarla senza timidezze e remore ideologiche, bisogna liberarsi di certi complessi che vengono da culture e anni lontani: ad esempio bisogna smetterla di considerare «repressione» una parolaccia e i poliziotti sempre dei bruti al servizio del potere.
Bisogna cominciare a convincersi che non è la mancata integrazione che induce certi immigrati a delinquere, ma che, anzi, spesso sono loro a rifiutare ogni forma di integrazione; bisogna liberarsi di assurdi e inspiegabili sensi di colpa che certa sinistra sente nei confronti dell'immigrazione: dobbiamo gestirla ma non subirla perché non è colpa nostra. Ecco la tolleranza zero comincia da questa piccola ma importante rivoluzione culturale.Carlo Maria Lomartire
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