Si danno appuntamento sui social o whatsapp. Poi, com'è capitato qualche sera fa tra via Orefici e via Torino, s'incontrano in strade e piazze, corrono e urlano, quindi si lanciano l'uno contro l'altro, a volte rotolano a terra, rompono bottiglie, sempre badando però a non farsi e a non fare male. Tutto perlopiù a vantaggio di una regia ben calcolata: ogni singolo movimento o acrobazia viene filmato e poi postato sul web dove si punta a un video virale. All'arrivo delle forze dell'ordine il copione si ripete: fuggi fuggi generale. E chi resta sul posto viene identificato e, se minorenne (nella stragrande maggioranza dei casi quindi) viene riconsegnato alle famiglie. Naturalmente possono capitare episodi un po' più allarmanti, almeno in apparenza. Non solo quel che è accaduto sabato in Darsena durante il cosiddetto «rave party», ma anche com'è successo domenica, poco dopo le 17.30, in un parchetto di via Bigatti (zona via Padova, Villa San Giovanni) dove si sono ritrovati in una trentina a sparare in aria proiettili a salve con pistole giocattolo davanti ad adulti atterriti che chiamavano le forze dell'ordine pensando a chissà quale regolamento tra bande criminali. Anche lì il «cerino» è stato lasciato nelle mani di uno solo, un ragazzo italiano di 16 anni e mezzo, poi denunciato per procurato allarme.
Tra gli adulti c'è chi minimizza e le chiama «bravate» e bolla tutto con l'attualissima pezza di rigore: «Tutta colpa del Covid». C'è chi s'avventura in improvvisate analisi sociologiche e conclude stigmatizzando con un lapidario «delinquenti». In questura parlano più propriamente di «sfide» e non hanno bisogno di giustificare quel che già si sa. Come aveva sottolineato l'ex capo della polizia Franco Gabrielli, neo sottosegretario con delega alla sicurezza della Repubblica, infatti, durante questo periodo «più che reprimere bisogna dissuadere, interloquire e comunque agire sì con rigore ma anche con equilibrio».
«La devianza giovanile in una situazione di pandemia come questa può diventare un problema. Con l'autorità giudiziaria abbiamo posto particolare attenzione a questo fenomeno perché avevamo intuito dall'inizio del periodo di chiusure e divieti, che poteva esserci una esplosione di energie represse in varie direzioni, che avrebbe congelato qualsiasi regola, da quelle più basilari della convivenza civile (fare il biglietto del metrò) a quelle più assurde come quelle connesse ai gruppi di ragazzini, molti incensurati e minorenni, che spesso si muovono in branco» spiega il dirigente della squadra mobile di Milano Marco Calì.
«Ci sono più griglie della devianza giovanile: la peggiore, la più grave, si coniuga in reati come rapine e furti perché tra questi ragazzi tra i 14 e i 20 anni, qualcuno con capacità criminali c'è eccome e infatti sono state fatte parecchie operazioni in questo senso. Abbiamo e stiamo lavorando tanto in strettissima sinergia con i commissariati della città per mappare i gruppi di ragazzini multietnici o italiani di seconda generazione che alla fine girano per la città soprattutto il sabato sera per provocare gente di ogni età con frasi del tipo: Che hai da guardarmi? - prosegue Calì -. Lungi da me dal voler fare un'analisi sociologica, non è il mio ruolo e non ho gli strumenti. Tuttavia è un dato oggettivo che perlopiù ci troviamo davanti giovani che, privati delle normali relazioni sociali e della scuola, dalle periferie o dall'hinterland raggiungono le piazze principali della città per esercitare una forma di rivalsa, di sopraffazione e comando avvalendosi proprio della logica del gruppo e magari esercitando un sopruso al solo scopo di creare caos e di farsi notare come qualcuno che conta in società e aumentare così la propria autostima».
«Ricordiamo alcuni episodi di questo genere non solo in
Darsena quindi, ma anche la scorsa estate all'Arco della Pace - conclude il dirigente della Mobile -: giovani che rompevano bottiglie, ballavano, violavano norme amministrative, ma non certo malviventi e tanto meno criminali».
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