Sanno chi è. Gli investigatori della squadra mobile conoscono l'identità del killer di Emanuele Tatone e del suo «tirapiedi» Paolo Simone («ucciso solo perché era con lui» spiega la polizia) massacrati in un'esecuzione domenica in tarda mattinata a Quarto Oggiaro. Il potere delle «famiglie», nel quartiere, si misura ancora solo ed esclusivamente intorno al traffico degli stupefacenti. E la vittima aveva stipulato un particolarissimo e inusuale patto nell'ambito del predominio della gestione della droga con il suo assassino. Una persona che conosceva bene, al punto da presentarsi all'appuntamento con lui (e forse anche con i suoi sgherri) in un posto così isolato come quello degli orti al confine con Novate Milanese completamente disarmato: segno tangibile che si sentiva sicuro. Un rivale-amico? Un finto alleato? Una nuova leva? Gli inquirenti tengono le bocche cucite: manca ancora la prova «regina» per incastrare il colpevole. Quel che è certo è che questo qualcuno aveva, in qualche modo, interesse a commettere un simile omicidio proprio lì, a Quarto Oggiaro. Dov'era conscio che poi, con quei due morti che scottano, si sarebbe scatenato un putiferio di polizia.
«Ma Emanuele non era più nessuno! - esclama un investigatore -. Veniva considerato un inaffidabile negli affari che contano davvero per la sua famiglia e sapeva che i fratelli lo tenevano alla larga dai giochi importanti. Certo: lui si dava arie da sbruffone, ci teneva ancora a litigare con chiunque gli capitava a tiro pur di dimostrare che meritava rispetto. Stavolta, però, o ha riposto male la sua fiducia o è stato ingenuo, si è fatto raggirare. Dieci colpi di pistola per due persone, diversi alla nuca, è tanta roba, fa pensare...Chi ha sparato deve sentirsi sicuro».
Il rivale per antonomasia nel quartiere è il «giovane» Francesco Castriotta, 40 anni, latitante. Biagio Crisafulli (in carcere), invece, è quel che si dice un compare: i Tatone «lavorano» per la sua famiglia. E allora? Chi ha commesso l'omicidio?
Certo: nessuno (o quasi) a Quarto Oggiaro mette in dubbio lo spessore criminale dei Tatone. È gente che conta ancora parecchio. «Niente a che vedere con i Crisafulli, però eh!» sentenzia un vecchio sdentato e male in arnese seduto sulla scala di un condominio in via Val Lagarina. Che se gli parliamo di guerra tra bande, di possibili ritorsioni tra famiglie mafiose nella zona in seguito al duplice omicidio, fa spallucce, picchiando l'indice contro la testa per indicare la mancanza di lucidità di Emanuele Tatone.
Se Emanuele non era più un criminale, però, a 52 anni restava comunque un delinquente. Per troppi versi mal tollerato da tanti. Da troppi. «Un tipo difficile» sintetizza la polizia che preferisce, vista la lunga lista di precedenti, non farne una vittima da immolare all'opinione pubblica. «Inutile e molesto, dannoso» ci raccontano in via Pascarella dove i pochi che parlano prima scuotono la testa, poi usano parole ben peggiori per sintetizzarne il carattere provato dalla tossicodipendenza conclamata. Ormai, chi gli era in qualche modo legato, erano tutti amici di vecchia data della sua famiglia. Che perlopiù lo compativano.
Stamattina, alle 8, l'autopsia sui due cadaveri ci dirà se domenica, negli orti al confine tra Quarto Oggiaro e Novate, è stata usata più di una pistola per ammazzare Emanuele Tatone e Stefano Simone. Tuttavia gli investigatori già da domenica sanno chi tenere «sotto osservazione» costante.
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