Nell'infinito valzer tra Eros e Thanatos, dove a ogni spinta vitale fa da contrappunto l'orizzonte severo della fine, l'umano sguardo si arrende lasciandosi trascinare...
«La vita è inarrestabile, dopo ogni morte rinasce sempre, più forte di prima!»: sembrano parole di conforto quelle del filosofo Carlo Sini, che attraverso la scelta di quattro film cui è rimasto particolarmente legato, partecipa alla rassegna cinematografica, presentata dalla Fondazione Feltrinelli, «Sei gradi di separazione», proponendo un'ampia riflessione sull'indomabile potenza che la vita e la morte manifestano sull'uomo.
«Il primo film che ho scelto parla della morte e lo fa in modo drammatico e patetico - racconta Sini - Si intitola L'arpa birmana, e ricordo mi venne segnalato tanti anni fa all'Università Statale dal professor Enzo Paci». La pellicola, realizzata nel 1956 dal regista giapponese Kon Ichicawa, fu nominata agli Oscar come miglior film straniero, superata da La strada di Federico Fellini. «Il film racconta di un reduce giapponese della guerra che non riesce più a inserirsi nella banalità della vita comune - afferma il filosofo - e torna così indietro, per andare a seppellire i morti». Suggerito dalle note della «Passione secondo Matteo» di Bach, che accompagna le scene, emerge un senso nuovo e assoluto della morte, che non distingue più, nemmeno in guerra, tra amico e nemico, «è la legge di Antigone, una legge universale: i morti sono di tutti, la morte è di tutti».
«Il secondo film che ho proposto - continua Sini - fa da contraltare al primo, indicando come la vita rinasca sempre prepotentemente dopo la morte». Si tratta di «Teorema» di Pier Paolo Pasolini, del 1968, che all'epoca diede scandalo, aprendo un vasto dibattito, e per il quale il regista venne addirittura processato. «Una famiglia borghese, ipocrita e perciò infelice, viene sconvolta dall'arrivo di un ospite che porta con sé una vitalità esplosiva, sfrenata, dionisiaca: si scopre la natura incoercibile dell'Eros, selvaggio, che non si lascia regolamentare, inarrestabile e proprio per questo fonte di vita». Così come nel terzo film selezionato, «Gruppo di famiglia in un interno» di Luchino Visconti del 1974. «Anche qui si presenta il tema della vita che sconvolge - sottolinea Sini - nonostante un vecchio professore provi a fuggire dalla volgarità del quotidiano, rinchiudendosi in casa tra i suoi studi, la vita se lo va a prendere manifestando la sua forza sempre attraverso l'Eros, che non si piega ai nostri codici: è il messaggio definitivo di come la vita rinasca da tutte le parti, la sua unica giustizia è la realizzazione dei suoi scopi, forse ultimo quello della riproduzione».
Come quarto film Sini sceglie un film di Michelangelo Antonioni, «Professione: reporter», del 1975. È la chiusura del cerchio, che insinua il dubbio o la certezza che ad aspettare l'uomo, in fondo a ogni suo disperato impulso vitale, ci sia sempre, irrimediabilmente, la morte. «È un film tecnicamente perfetto, pessimista, nichilista - dice - un ritorno alla morte». «La vita porta rinnovamento, estasi, invenzione ma qui il protagonista, una persona di successo, si sostituisce a un morto, rubandone l'identità, per farsi un'altra vita. Lui che credeva di potersi approfittare della morte per una nuova vita finirà invece a causa di questo per morire: è la morte questa volta ad essere attiva, a vivere». Quando si chiede al professor Sini da quali film contemporanei è affascinato dice che ormai va poco al cinema ma che Paolo Sorrentino è un regista interessante: «Sono molto preso dall'associazione culturale Mechrì, che in greco significa fino a qui, di cui ho la direzione del comitato scientifico: promuove formazione, con cicli di seminari di filosofia, intrecciando linguaggi di varie scienze come teatro, biologia, sociologia». Una domanda sulla scuola, in cui a lungo ha lavorato e di Milano, città in cui vive da tanti anni: «La scuola di oggi vive una grave crisi e le ragioni sono infinite; i ragazzi non leggono libri e soprattutto non capiscono quello che leggono. La città invece sta un po' rifiorendo, ci sono stati momenti difficili, per ragioni economiche e sociali ma oggi si sta risollevando».
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli viale Pasubio 5, «Sei gradi di separazione con Carlo Sini» (30 marzo): dalle 20 l'incontro e dalle ore 20,45 proiezioni: «L'Arpa birmana» (1956) di Kon Ichicawa e
«Teorema» (1968) di Pier Paolo Pasolini; (31 marzo) alle ore 18 incontro e dalle ore 18.30 proiezioni: «Gruppo di famiglia in un interno» (1974) di Luchino Visconti e «Professione reporter» (1975) di Michelangelo Antonioni
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