Un po' come nel Maestro e Margherita di Bulgakov: interi appartamenti che svaniscono, personaggi che mutano identità, e a incombere su di tutto l'ombra del Maligno. Nello spettacolare sistema di truffe scoperto dalla Polizia postale e dalla Guardia di Finanza, a incarnare Satanasso era un trentenne brillante e di bell'aspetto: Manuel Miele, pizzetto e giubbotto, straordinaria capacità di reincarnarsi e di convincere. Uno in grado di inventarsi aste giudiziarie, giudici, curatori, scippando nomi di magistrati e di persone veramente esistenti, creando indirizzi di posta certificata, persino finti verbali di aggiudicazione, inserendosi in siti Internet famosi e stimati. E approfittandosi dell'eterna voglia del «buon affare» che rende vulnerabili al bidone anche i meno ingenui.
Adesso Miele è in galera, su richiesta del pm Carlo Scalas, insieme al suo complice Luca Dordolo. E la Procura si è impossessata del tesoretto in bitcoin in cui Miele aveva prontamente riversato i proventi delle sue truffe: che quasi certamente sono ben più numerose degli imbrogli già scoperti e denunciati. Il giovanotto, d'altronde, lavorava sui grandi numeri, vendendo la stessa auto e lo stesso appartamento a più persone.
L'aspetto quasi geniale delle imprese di Miele - ovvero avvocato Pesce, ovvero avvocato Russi o avvocato Zinni, ovvero una sfilza di altri alias - era l'invenzione della falsa asta giudiziaria. Ai bidoni online il mondo si è abituato a stare attento, ma come non fidarsi quando c'è di mezzo il tribunale, un giudice, un curatore? Miele per lanciare le sue proposte aveva scelto due siti di grido: subito.it per le automobili, idealista.it per le case. Erano i due siti a ospitare, forse incautamente, le offerte di portalegiudiziariomilano.it, sito apparentemente ufficiale e dietro il quale in realtà c'era sempre lui, Miele. Che, incarnando avvocati inesistenti, si faceva girare il dieci per cento della base d'asta. Come resistere a certe occasioni? Meno di trecentomila euro per una casa in via Vincenzo Monti, meno di duecento per un appartamento in via Revere? O poche migliaia di euro per una Jeep o una Renegade? Wow.
Per impadronirsi delle sue false identità, Miele usava un sistema cinico: pubblicava proposte di assunzione nel gruppo Fiat, e si faceva mandare dai candidati i documenti. Il posto di lavoro non esisteva, ma da quel momento al nome degli aspiranti venivano aperti caselle di posta, utenze telefoniche, account di ogni tipo destinati a venire utilizzati per le truffe.
I falsi documenti su carta intestata del tribunale erano così verosimili da trarre in inganno chiunque.
Ma alla fine è stato proprio il suo perfezionismo a mettere Miele in trappola: come giudice dei fallimenti aveva indicato una magistrata effettivamente esistente, nota e stimata a Palazzo di giustizia: ma che di fallimenti non si è mai occupata. E quando un amico avvocato ha fatto notare il dettaglio alla truffata, è iniziato il patatrac.
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