"Che bello cantare al Piccolo. Mi ricorda il mio Strehler"

Per la cantante che domani riaprirà il teatro Strehler un concerto sulle canzoni della mala. "Che non c'è più"

"Che bello cantare al Piccolo. Mi ricorda il mio Strehler"

«Ospiti eccellenti per questo mio nuovo spettacolo in cui ricanto le canzoni della mala? Beh, sa, mi piacerebbe ci fossero qui con me Giorgio Strehler, Dario Fo, Gino Negri, Fiorenzo Carpi, gli autori di tutti quei brani, ma non ci sono più. Bisognerà accontentarsi della sottoscritta». In barba all'età (83 anni lo scorso settembre, ben portati e altrettanto ben suonati...), Ornella Vanoni torna in concerto a Milano. E lo fa, domani sera, per un'occasione speciale: la riapertura del Teatro Strehler, chiuso da luglio per interventi straordinari di manutenzione. Il primo di una serie di eventi con cui il Piccolo Teatro, a 20 anni dalla morte, ha deciso di raccontare Giorgio Strehler, il regista che ne fu il fondatore.

«Io non sono nata allo Strehler, ma sono nata con Strehler», ha tenuto a precisare Ornella Vanoni in Ricetta di donna, riuscito docufilm scritto, diretto e prodotto da Alexandra della Porta Rodiani. «È proprio così», ammette la longeva cantante milanese. «Dopo appena un anno di scuola di recitazione al Piccolo Teatro divenni la compagna di Strehler: era il 1955 Fu un grande scandalo. Avevo vent'anni e lui era sposato. A quell'epoca nella mia vita non c'erano che due cose: il Piccolo e Strehler. Io che venivo dall'esperienza di studi all'estero, ero timida e taciturna: ascoltavo e ammiravo quei tanti talenti presenti al Piccolo. A un certo punto, capito che avevo un discreto orecchio musicale, ci fu l'occasione di cantare. Giorgio Negri se ne venne fuori che aveva delle canzoni da cortile, ma Strehler bocciò il nome e disse: No, non se ne parla: visto che si raccontano storie di malavita, le chiameremo le canzoni della mala».

Ballate dialettali per mettere in musica furfanti, spari, poliziotti, malfattori, carcerati, balordi e minatori - storie per lo più ambientate a Milano e talvolta cantate in milanese, come la bella e struggente Ma mi - che hanno fatto la fortuna di questa eterna ragazza del 1934, la cui aspirazione (almeno all'inizio) era solo quella di fare l'estetista. Dal primo concerto all'Umanitaria fino ad oggi.

Ad onor del vero, dopo la rottura con Giorgio Strehler, la Vanoni contattò qualche tempo dopo (eravamo già negli anni Sessanta) Pier Paolo Pasolini, chiedendo se volesse scrivere qualcosa per e con lei sull'argomento. Ma lui mi fece cambiare idea: «La mala e quella gente lì, povera, orgogliosa e che a suo modo rispettava le regole, non c'è più, mi disse. Aveva visto giusto, quel mondo non era destinato a scomparire». Ciò detto gli anni Sessanta restano la stagione del cuore di Ornella Vanoni: «Milano in quegli anni era straordinaria. Era viva culturalmente, come non mai - basti pensare all'epopea del Piccolo Teatro - e si respirava un'aria contagiosa di felicità. Era una felicità figlia dell'entusiasmo post bellico. In quegli anni a Milano si stava molto meglio rispetto ad oggi: c'era meno gente e, ovviamente, non c'era ancora questa follia collettiva di nome Internet, una cosa che ci sta rovinando la vita».

Non solo mala, comunque, nel concerto di sabato: «In due ore proverò a condensare il meglio della mia musica: spaziando da Bertold Brecht cantato in tedesco all'incontro con Gino Paoli e i cantautori e alle collaborazioni anni Settanta con Toquinho e Vinicius de Moraes - racconta -. Ma proporrò anche una cover a testa di Lucio Dalla, un gigante della nostra canzone, e di Giorgio Gaber».

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