«Così riporto in scena la lezione di Brecht»

In abito da «metallurgico ottocentesco», notò Alberto Arbasino, Bertolt Brecht venne a Milano nel 1956, per la prima della sua «Opera da tre soldi» diretta al Piccolo di via Rovello da Strehler. Da allora non se ne è più andato: poche città come Milano sono legate al drammaturgo, poeta e scrittore tedesco nato nel 1898. E oggi, a quasi sessant'anni dalla morte, ci pensa il teatro Franco Parenti a tenere alto il nome del fondatore del Berliner Ensemble con sei spettacoli brechtiani, tra cui la commedia «Baal» (lavoro giovanile, del 1918, regia Giuseppe Isgrò) e «La madre», dal romanzo di Gorkij (regia Carlo Cerciello). «Spettacoli», dice Andrée Ruth Shammah, direttrice del Parenti, «che non tengono conto della lezione di Strehler, ormai classica, con invenzioni di regia che hanno fatto scuola nel mondo. Invece di fare grandi allestimenti, che lasciamo ad altri, lo raccontiamo ai giovani. A chi sa poco o nulla di Brecht e di come lo metteva in scena Strehler. Con altri occhi, è il titolo che lega gli spettacoli da noi prodotti. Con gli occhi, per esempio, di Andrea Baracco, regista abituato a Shakespeare, il contrario di Brecht. O di Luigi Guarneri, che lavora con gli ex pazienti psichiatrici del Paolo Pini, mettendo in crisi il pregiudizio su un Brecht marxista, campione del ragionamento razionale».

Gli occhi della regista Shammah non avrebbero la stessa libertà. «Sono cresciuta al Piccolo, Paolo Grassi ci ordinava di mangiare pane e Brecht. Per fortuna Franco Parenti mi insegnò lo scetticismo. Ricordo che una volta, attaccato dal Pci per il modo in cui portò in scena un capitalista da un lavoro di George Bernard Shaw, Franco, politicamente libero, si inalberò dicendo: "se questo capitalista fosse uno stupido schifoso lo avrebbero già cancellato dalla faccia della terra, se esiste una ragione ci sarà". Ma erano altri tempi. Il bello di Brecht è che quando lo chiudi in una definizione, lui fugge, è sempre qualcos'altro. Quei meravigliosi spettacoli del Piccolo erano più Strehler, che Brecht. Sono convinta, il festival lo dimostrerà, che con Brecht si può giocare. Bisogna mettersi davanti alla sua opera con sguardo di innocente ignoranza. Era un uomo che aveva coscienza del fluire della vita. Era un grande poeta, ogni volta che leggo le sue liriche scopro profondità nuove. Anche la sua appartenenza politica, il comunismo, lo definiva solo in parte: Brecht era molto più di un intellettuale organico».

La rassegna del Parenti, dal 12 al 27 settembre, vuole essere una festa, nel nome della libertà interpretativa. «Nessuna soggezione davanti a un maestro che fa tremare le vene ai polsi», dice Shammah. «All'opening party ci sarà addirittura musica con dj set».

Chissà che ne penserà lo spirito del Brecht accolto a Milano, nell'anno della sua morte, come un dio in terra, portatore di una ideologia politica e teatrale che non ammetteva «deviazioni giocose». Ma è proprio in questa città che il suo mito può essere visto con altri e disincantati occhi.

Conclude Shammah: «Milano in questo momento è luminosa di proposte e fiducia. Sta dando il massimo.

A volte penso che il cielo azzurro sopra la città, sempre più frequente, abbia a che fare con la felice frenesia che c'è sotto. E se in quel cielo c'è la memoria di Brecht, è giusto che risplenda anche qui, alla nostra altezza».

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