Uno studio sui donatori di sangue del Policlinico, pubblicato in anteprima su medRxiv (ovvero in una forma preliminare che precede la revisione e la diffusione sulle riviste scientifiche), dimostra quanto si sospettava: il Coronavirus circolava in Italia e in Lombardia in particolare già molto prima di febbraio.
Secondo i risultati della ricerca, progettata e coordinata da Daniele Prati e Luca Valenti del Dipartimento di Medicina Trasfusionale ed Ematologia del Policlinico con Gianguglielmo Zehender dell'Università degli Studi, all'inizio dell'epidemia il 4,6 per cento dei donatori aveva già gli anticorpi contro il Coronavirus, percentuale che è salita al 7,1 per cento all'inizio di aprile. Inoltre, il distanziamento sociale per contenere la diffusione sembrerebbe essere stato d'aiuto soprattutto per proteggere i più giovani, riducendo il numero di nuove infezioni.
I ricercatori, che hanno lavorato in collaborazione con i colleghi dell'Ospedale Luigi Sacco, punto di riferimento regionale per le emergenze infettivologiche e dall'Istituto Europeo di Oncologia, hanno selezionato un campione casuale di circa 800 donatori sani che frequentano il Centro Trasfusionale che conta oltre 40mila donatori ogni anno. Sono stati analizzati i donatori che si sono presentati tra il 24 febbraio e l'8 aprile. A ciascuno di loro è stato fatto, insieme alle analisi di routine, anche un test sierologico per cercare eventuali anticorpi contro Sars-CoV-2.
Come è noto il test fotografa la presenza nel sangue di due tipi di anticorpi: le IgM, che sono l'indizio di un'infezione recente, e le IgG, che rappresentano la memoria immunitaria a lungo termine. Segnale che la persona ha avuto e sconfitto il Covid, e ha sviluppato le difese immunitarie necessarie per non ammalarsi più, ma di essere «portatore sano» del virus qualora entrasse di nuovo in contatto. Il test ha una specificità del 98,3 per cento contro questi anticorpi e una sensibilità del 100 per cento: produce cioè risultati davvero affidabili. «Lo studio - commenta Luca Valenti - è stato possibile grazie anche ai campioni di sangue archiviati nella Biobanca del Policlinico, che conserva tutti i campioni di materiale biologico in modo da poterli analizzare in caso di bisogno, senza alterarne le caratteristiche».
Secondo lo studio, «all'inizio dell'epidemia 1 persona su 20 era già venuta in contatto con il Coronavirus e aveva anche sviluppato un'immunità. «Durante le fasi dello studio caratterizzate dalle misure di distanziamento sociale - commentano i ricercatori - questa rapporto è aumentato progressivamente fino a 1 persona su 10, soprattutto nelle IgG, ovvero nelle infezioni meno recenti e quindi con un'immunità già sviluppata (riscontrata soprattutto nei più giovani), mentre le infezioni più recenti erano associate soprattutto ai più anziani».
«Scopo dello studio - commenta Daniele Prati, direttore del Centro Trasfusionale del Policlinico - era esaminare la presenza dell'infezione da Sars-CoV-2 in adulti asintomatici in una delle aree più colpite, e nello stesso tempo raccogliere più elementi possibili per comprendere i fattori di rischio e i valori di laboratorio associati alla malattia. E' la prima conferma scientifica che nel Milanese era presente un sommerso di persone contagiate, prima del 21 febbraio. È il primo studio sierologico su persone asintomatiche che ci dice chiaramente che siamo ben lontani dall'immunità di gregge».
Il distanziamento sociale sembra aver favorito soprattutto i più
giovani, che hanno avuto il tempo di sviluppare un'immunità a lungo termine. Infine alterazioni nella conta delle cellule del sangue e nel profilo lipidico sono indizi che potrebbero inquadrare meglio le persone asintomatiche.
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