LA DIFESAMa Milano non è fatta a nostra misura

Recentemente è diventato di moda sparare sui ciclisti, neanche fossero loro il problema della viabilità. Appartenendo alla sempre più folta tribù a pedali sono perfettamente conscio di quanto essa sia indisciplinata. Io stesso, non lo nascondo, trasgredisco quasi quotidianamente, nel senso che spesso e volentieri inforco affollate vie pedonali, scavalco e percorro marciapiedi, di rado infrango divieti d'accesso. Come me la maggioranza dei ciclisti cittadini, alcuni dei quali però esagerano nella violazione delle norme e nella velocità, mettendo a rischio l'incolumità dei pedoni. Per il resto, chi si appella al buon senso civico dei ciclisti europei dovrebbe sperimentare un tranquillo weekend di paura sul fondo stradale di questa città, che in molti punti è più simile a mulattiere afghane che a manti d'asfalto. Tra buche, pavè dissestati e rotaie che non lasciano scampo, l'unica incolumità davvero a rischio è quella dei ciclisti stessi, come dimostrano le statistiche sugli incidenti mortali. E anche coloro che, sbagliando, sono abituati a violare il codice passando con il rosso o circolando in contromano, lo fanno a quasi esclusivo proprio rischio e pericolo. Insomma, peggio per loro, verrebbe da dire. Che gli italiani abbiano nel dna la tentazione a violare le regole è fuor di dubbio, e la certezza dell'anonimato non giova.

Ma sono altrettanto convinto che agevolare il transito con piste ciclabili «europee» e fondi stradali adeguati sia una priorità più urgente che imporre le targhe alle bici. A meno che la vera ragione non sia quella di trovare nuovi modi per fare cassa, ora che tanti cittadini lasciano l'auto a casa per risparmiare su Area C, multe e benzina.

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